“Chi non è contro di noi è per noi” – XXVI domenica del tempo ordinario Anno B

“Chi non è contro di noi è per noi” Mc 9,38-43.45.47-48

Fratelli ritrovati

Nel vangelo di Marco Gesù ha scelto i Dodici ‘perché stessero con lui e anche per mandarli’. Quando li manda in una prima missione dà loro ‘potere sugli spiriti impuri’, che poi l’evangelista chiama demoni. Ne hanno scacciato molti, come molti erano quelli che Gesù scacciava: probabilmente non tutti i demoni spettacolari dei ‘grandi’ esorcisti dei mass-media. Anche oggi ci sono ‘spiriti’ che rovinano esistenze, comunità, società senza segni clamorosi, e che riescono tanto più quanto più muti sono: impuri, e cioè menzogneri, ‘spiriti’ che tappano occhi, orecchie e bocche (gli evangelisti parlano di demoni sordi, muti, ciechi).

Ed ecco, nel vangelo di oggi, uno che non fa parte dei Dodici e che mostra di avere proprio questo potere, e lo esercita nel nome del Maestro, di un Maestro che non è suo, ma di loro. E Giovanni reagisce, a nome anche di altri. È questione di competenze, di identità, di autenticità, di vanto o di chissà quali altre cose? Non sappiamo. Ma Gesù questo uomo che usa il suo nome lo restituisce loro come un fratello. Già domenica scorsa aveva ridimensionato la ricerca di un grande, di un ’primo’ fra loro, e si era identificato con un bambino. Oggi chiede ai Dodici di non porre ostacoli, pietre d’inciampo, sulla strada su cui Dio attrae questo uomo e in genere tutti i ‘piccoli’.

Anche il culto della propria integrità fisica può diventare un ostacolo al cammino. Gli abissi del mare, i vermi e il fuoco della vallata dei rifiuti sottolineano che sono inutili quanti ‘non servono’ il/al regno di Dio e si pongono in mezzo per farsi valere. E questo Gesù lo sottolinea proprio a quelli che saranno ‘capi’ della sua chiesa.

Oltre le distanze

Mosè non voleva proprio essere capo. Gli sarebbe piaciuto risolvere alla spicciolata le situazioni di oppressione, ma prendere in mano un popolo no. E di fronte ad un popolo che ‘piange’ perché vogliono carne in pieno deserto entra in depressione. È troppo. Che Dio lo faccia morire.

Non lo ha partorito lui questo popolo! E Dio, che questo popolo l’ha proprio portato in grembo, l’ha voluto e generato come una mamma, provvederà davvero a questo popolo. E alleggerirà il carico a Mosè, dandogli accanto un ‘presbiterio’ di 70/72 anziani di Israele: fratelli che porteranno il peso con lui. Lo spirito che è in Mosè Dio lo dà anche agli anziani, compresi i due rimasti nell’accampamento. La ‘gelosia’ di Giosuè che vorrebbe arginare questa profezia diffusa Mosè non la condivide. Gode di questo allargarsi dello spirito. Augura anzi a tutto Israele di avere lo spirito del Signore.

Un augurio che sarà una profezia, non solo per Israele, ma anche per chi crede in Cristo. Dio ascolta, sia il pianto degli israeliti che la disperazione di Mosè, ma a modo suo, come fa spesso: ascolta, ma non si appiattisce sui desideri che ascolta, costringendo le persone a fare ulteriori passi insieme a lui.

Contare di più su Dio e i fratelli

Il Signore conduce le persone a scoprire una leadership di fratelli. È lui, Dio, a condurre le fila, a caricarsi delle suppliche, delle lamentele, delle attese e pretese. Ai 70 e più chiede di essere docili allo spirito; ai 12 e più chiede di essere trasparenti al ‘nome di Gesù’.

In questa ‘giornata del Seminario’ le letture propongono che nell’itinerario di formazione i giovani imparino ad essere fratelli, fratelli che si lasciano prendere dallo Spirito e dall’azione di Gesù, ma anche fratelli che riconoscono con gioia e gratitudine dove lo Spirito di Gesù agisce con libertà. Che non restringano il vangelo di Gesù e il regno di Dio a quello che fanno loro, con la loro mano, il loro piede e il loro occhio. Che sappiano apprezzare come Dio agisce anche nel piccolo e nel povero.

In questo tempo in cui il vestire e l’adornarsi possono essere gusto, attenzione, rispetto degli altri…, la ricchezza e i suoi mezzi non diventino un idolo, una superstizione cui ci si consegna e che non ha futuro.

In un tempo in cui i padri e le madri sono troppi e troppo pochi i fratelli, gli educatori dei seminari possono contare di più su Dio e sui fratelli, ridimensionando le pretese di educazioni riuscite, perfette da cui si possono sentire opprimere. C’è Dio. Ci sono fratelli.

don Giuseppe Toffanello, direttore spirituale di Casa Sant’Andrea