“Il Signore ascoltò la nostra voce e ci fece uscire dall’Egitto” – Prima domenica di Quaresima, anno C

“Il Signore ascoltò la nostra voce e ci fece uscire dall’Egitto” (26,7-8).

Come un dito che va a toccare una ferita, così la Parola di oggi entra nella nostra vita: essa ci parla della libertà, quella libertà il cui desiderio esplode nel tempo della giovinezza, ma ritorna costantemente nella vita.

Sì! Seppure non siamo fisicamente schiavi di nessuno, sentiamo costantemente un desiderio di libertà dentro di noi. Talvolta è il bisogno di un ritmo di vita meno programmato, altre volte di un margine di respiro dagli impegni pesanti. Più spesso, è il bisogno di leggerezza interiore, di obiettivi da perseguire, di compagnia sincera, di avvertirci in pace lì dove siamo e come siamo. Non basterà questa vita per sentirci pienamente liberi di vivere, di esistere, di essere come siamo, ma la Parola di questa domenica ci ricorda con forza che le radici dell’albero della nostra libertà sono già piantate e ben radicate. Tutti noi siamo quei figli che già sono stati liberati dalla schiavitù del male e della morte, i figli che possono dire senza paura “Padre”, certi della sua presenza fedele. Quel Gesù che ha vissuto la libertà da ogni cosa, anche da sé stesso, ci ha dato con la sua Pasqua la libertà che nessuno potrà mai toglierci, la libertà di donare noi stessi per amore. Come l’antico Israele, anche noi siamo stati liberati da Dio che ci ha portati fuori dalla schiavitù e ci ha dato una terra in cui abitare insieme con gioia e impegno, come suoi collaboratori e alleati.

Una mia docente, un giorno, mi disse che nel mio vivere il celibato ero come un animale in una gabbia con la porta aperta. Al momento questa immagine mi diede fastidio: poi, seppure la riconoscessi parziale, la trovai intelligente. Mi diceva che la mia libertà non dipendeva anzitutto da tutto ciò che sta aldilà della mia scelta, da ciò che sta fuori dalla mia gabbia, ma dalla mia persona, una persona che è capace di scegliere in autonomia e per amore e non tanto per le proprie forze, ma per la grazia ricevuta dal Signore. Quell’immagine mi ricorda ancora che la libertà è nelle nostre mani e abbiamo la possibilità di viverla, qualunque sia la situazione della nostra vita. Lì dove siamo possiamo vivere la stessa libertà di Gesù nel deserto. La libertà da quei beni materiali che ci piacciono tanto, che ci danno l’illusione di riempire il vuoto che avvertiamo dentro di noi in tante occasioni, ma che solo il pane della presenza viva di Dio può colmare. La libertà dal potere, dalla pretesa di poter prevaricare gli altri pensando in questo modo di essere forti nella nostra debolezza. La libertà dall’apparenza, dal sentirci qualcuno, accogliendo quei limiti che fanno parte di noi, ma che rifiutiamo con la pretesa di essere perfetti. Vivere la libertà significa abitare quei doni che già abbiamo ricevuto, la dignità di figli che abbiamo in Cristo, la possibilità di costruire un’umanità nuova insieme a lui. Significa anche lottare, insieme al Signore e agli altri fratelli contro ogni illusione, ogni falsa suggestione, scoprendo nel povero quotidiano lo spazio per amare, per donare sé stessi, per vivere la fede.

Al popolo che è stato liberato dalla schiavitù, Dio, attraverso Mosé, chiede di portargli in dono ogni anno le primizie della terra. Questo comando potrebbe farci pensare a Dio come un pretenzioso, uno che vuole per sé le cose migliori, un egoista che pensa prima a sé stesso. In realtà la sua Parola vuole essere un invito concreto che va a toccare nel vivo il credente chiamandolo a non dipendere dai suoi beni, dalle proprie soddisfazioni, a ricordare che è stato liberato per restare libero, anche da sé stesso. È un invito che apre il cuore alla gratuità e alla riconoscenza, atteggiamenti che anche oggi possono farci maturare nella libertà, atteggiamenti a cui educare le persone a noi affidate, ma anzitutto noi stessi.

Riconosciamo oggi che siamo delle persone libere e che questo è un dono di Dio: diciamo il nostro grazie al Signore per quella libertà che sentiamo, ma anche per quella ancora nascosta in noi e attorno a noi e che un po’ alla volta riconosceremo. Chiediamoci quale primizia possiamo portargli in questo tempo, quale dono, seppure ci piaccia tanto, possiamo offrirgli, quale libertà possiamo consegnargli nella certezza che egli può aprirci ad una libertà ancora più grande.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea