«Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» – XXV domenica del Tempo Ordinario, Anno B

Oltre gli schemi (Mc 9,30-37)

Non ce la fanno. Davvero, fanno tanta fatica. Sono i discepoli, che stanno seguendo Gesù ma lo schema e il pensiero che si sono fatti di Lui, cioè del messia che deve venire, è diametralmente opposto a ciò che Gesù sta cercando di far capire.

Quel “essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo” del versetto 32 del vangelo sembra quasi farci intuire che invece avevano capito ma che forse non volevano accettare questa verità.

Ma è questa la fine che deve fare il nostro Messia?

I nostri schemi, le nostre idee sono nostre ed è sempre molto difficile scalfirle, pensate cambiarle. Sono frutto dei nostri ragionamenti, dei nostri sforzi, perché devo rinunciarvi? È la fatica dei discepoli che accompagnano Gesù da qualche tempo ma il continuo sforzo che hanno noi siamo chiamati a fare: Gesù rompe gli schemi, il vangelo è radicale e ci costringe a cambiare, a rivedere i nostri ragionamenti, i nostri passi; non per divertimento, non per il semplice gusto di tenerci sulle spine ma per un qualcosa sempre di più grande, per non farci accomodare, per non tenerci comodi sui nostri piccoli successi, per tendere sempre alla gioia e alla pace.

La sapienza

Ci occorre in fondo quel dono “che viene dall’alto” come dice San Giacomo nella seconda lettura. È la sapienza che è pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia, imparziale e sincera e che si riconosce dai frutti.

È quel dono che ci occorre per capire, per saper andare oltre i nostri schemi, per costruire-edificare la comunità cristiana nella concordia.

Chi è preoccupato solo di sé, e si chiude nella ricerca egoistica della propria gratificazione, si comporta in modo tale da creare disordine e turbamento negli altri. Chi invece sa accogliere la sapienza vive in modo schietto, limpido, genuino, lineare.
Ne sanno qualcosa anche quegli empi della prima lettura che si scagliano contro i giusti perché si sentono come rimproverati dal loro comportamento che invece è limpido e fedele a Dio.

Nuove prospettive

Il non comprendere, però, è una nuova occasione per Gesù, per sedersi lì con i suoi ragazzi e provare a smascherarli, per farli uscire allo scoperto e aiutarli ad entrare di più nella sua logica.

Sceglie un luogo intimo, accogliente e sicuro, la loro casa e chiede loro gli argomenti che hanno da portare. Tutti tacciono ma è in quel silenzio che Gesù offre loro due perle: essere ultimo e servo, e abbracciare un bambino.
Un gesto strano per il tempo perché nel mondo antico i bambini avevano poca considerazione ma un gesto forte e significativo per dirci che ciò che dobbiamo fare è accogliere. Quando un bambino ci prende per mano, significa che ha scelto di fidarsi di noi e Dio fa così anche con noi. Ci prende per mano perché ha deciso di fidarsi di noi.
È proprio difficile capirlo, ecco perché Gesù si siede con i discepoli e insegna loro un nuovo modo di vedere, un nuovo modo di essere: più sei piccolo più sei alto, più accetti di perdere e più sali in classifica, più ti inginocchi a lavare i piedi e più signore sarai.
E tutto questo lo possiamo fare accogliendo il bambino che è in noi, non quello che fa i capricci e che vuole tutto subito, ma quello che fa meravigliarsi, che sa fidarsi mettendo la sua mano in quella più forte, solida e fedele di Dio che ci guida verso la felicità.

Chiamati…

In fondo è bene ricordarci che la vita è una chiamata a un compito: è una risposta responsabile. I talenti del vangelo di Matteo ci ricordano proprio i compiti e le responsabilità a cui siamo chiamati nella vita e che non possiamo sotterrare ma investire.

Questo possiamo e dobbiamo ripetercelo all’inizio dell’anno pastorale, all’inizio dell’anno scolastico, nel tempo in cui riprende il lavoro normale.

Non è però ricercare il primo posto o il posto migliore: è un servizio a Dio nel lavoro a favore della vita nostra e altrui. Vivere con questa coscienza aiuta a svolgere con gusto e impegno il compito che ci è affidato. Liberi anche dall’esito, dai risultati, dalle gratificazioni, dalle ricompense. Il campo è del Signore e la ricompensa vera è la sua amicizia: Egli non ci tratta da operai, ma da amici.

Le “vocazioni” che noi cristiani conosciamo possano essere espressione continua di questo: amici che si mettono a servizio con responsabilità nel campo del Signore, che sanno fidarsi di Dio rompendo i propri schemi mentali e scoprono la vera provvidenza nascosta nelle cose.

don Pierclaudio Rozzarin,
vicario parrocchiale in Vigodarzere (PD)