“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”. (Ger 20,7)
Nel dialogo con i giovani che si interrogano sulla propria vocazione, ne incontro che sperimentano l’oscurità o una profonda incertezza, ma anche altri che hanno chiari i segni della propria chiamata e, tuttavia, faticano a dire di sì a quanto scoperto, desiderosi di scappare via da quanto compreso. Potrà sembrare contraddittorio, ma l’aver chiara nel cuore la Parola di Dio per la propria vita, non sempre coincide con il provare soddisfazione, entusiasmo, piena fiducia, senso di realizzazione e quindi mettersi in movimento per una propria risposta. Talvolta, anche nel cuore del credente, abita la fatica di rinunciare al propri sogni per fare posto a quelli di Dio.
È, per certi versi, la medesima esperienza del profeta Geremia, il quale è ben consapevole della chiamata del Signore a farsi Parola di lui tra il popolo, ma non ha alcuna voglia di farlo, di mettere a rischio la propria vita per questo scopo. Geremia ha compreso la sua vocazione, ma ciò non coincide con il mettersi in cammino per realizzarla: sa di dover pronunciare una parola dura e questo lo impaurisce, lo frena, lo irrigidisce; avverte il fascino di spendersi per Dio e per il ritorno del popolo a lui, ma avverte anche tutta la fatica di rinunciare al suo mondo, alla sua realtà. Egli vive qualcosa che mi pare esprima bene lo scrittore padre Giovanni Cucci: “È un equivoco spesso presente nell’esperienza religiosa: non si cerca l’incontro con il Signore, ma semplicemente di stare bene, anche a costo di condurre una vita mediocre”. Per Geremia è necessario un ascolto più ampio, che lo porti a fare i conti con la sua immagine di Dio, con le sue pretese indebite, con le sue illusioni, con i bisogni personali e quelli degli altri, il mettersi in cammino verso Dio e gli altri, più che il chiudersi in se stesso e cercare la propria soddisfazione. Arriverà a dire: “Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,9) tuttavia, seppure nel brano biblico questi versetti siano vicini a quelli che narrano la sua fatica, queste parole saranno il frutto di un lungo cammino interiore.
Accompagnare una persona ad ascoltare la Parola che lo abita nel profondo, non è il solo passaggio necessario per aiutarlo a vivere la sua missione: per inoltrarlo nel cammino è necessario accompagnarlo anche a scoprire che quella Parola non la può contenere e che, darle una risposta, è certamente rischioso, ma anche un grande atto d’amore, un amore che realizza pienamente la vita. “Sì, don, è vero che il Signore mi sta chiamando a seguirlo, ma non ho ancora fatto questa e quest’altra esperienza, come posso buttarmi in questa direzione?”. Sì, è difficile per un giovane fidarsi della Parola del Signore e affrontare quella concreta strada che lui propone: è difficile per lui e per ogni credente, ma possibile, se si accetta di dover rinunciare a qualcosa, soprattutto a se stessi.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea