“Fecero ritorno alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva”. (Lc 2,40)
Dentro alle nostre giornate gonfie di impegni e spesso frenetiche, ma anche cariche di attese, di gioie mai gustate abbastanza, di tristezze perché non abbiamo ciò che pensiamo ci renderebbe felici… siamo stati raggiunti in questi giorni da un evento tanto straordinario quanto semplice, tanto grandioso quanto a portata di mano. Ci è stato donato un bambino, il Figlio di Dio che si è fatto carne, e che ci ha fatti prendere coscienza che la vita è un dono davvero grande. Questo bambino, con le sue manine, con i suoi occhi teneri, con il suo pianto e la sua fame, ci ha fato accorgere che la vita è anche altro rispetto a quanto ci prende ogni giorno: che il centro del mondo non sono le cose che facciamo, i soldi che accumuliamo, o i gradini che saliamo nella scala della società, ma le persone di carne ed ossa e fra tutte lui, il bambino che ci il Padre ci ha consegnato.
A pochi giorni dal Natale il nostro sguardo si allarga. Ci ha affascinato il bambino, ci ha preso il cuore, ci ha incantati: abbiamo fatto mezzo passo indietro e ci siamo accorti che accanto a lui ci sono una mamma e un papà e che non è giunto fra noi solo un figlio, ma una famiglia. Accanto a noi, mentre ci spendiamo nelle tante cose da fare ci sono anche loro, con le loro incertezze di famiglia appena nata, le loro trepidazioni e paure, ma anche i loro sogni, la gioia per la vita, la soddisfazione per un figlio. E così la loro presenza ci indica che la vita è preziosa, che non possiamo dimenticare la nostra umanità mentre siamo alle prese con la vita, che tutto ciò che ci vede indaffarati è uno strumento per amare e servire meglio la vita, le relazioni, la famiglia. Lo stupore per la vita si allarga e dal bambino diventa esperienza che ci fa stupire per la famiglia, per la vita che è tale soltanto se accolta da altre vite, che una vita da sola non è nulla se accanto non ci sono mani e cuori che la accolgono e la sostengono e da essa si lasciano accogliere e sostenere.
Siamo forse troppo abituati a questa realtà, così abituati che investiamo poco per la nostra famiglia o investiamo in modo mediocre. Noi non ci realizziamo nel fare che stravolge il nostro esistere, ma nel vivere l’amore: siamo fatti per la relazione e non per l’isolamento, per l’incontro sincero, gratuito e generoso con l’altro e non per lo sfruttamento dell’altro a nostro vantaggio. Siamo fatti per il dono di noi stessi e non solo per succhiare la vita dall’altro, e gettarlo via appena non ci sembra soddisfi più i nostri bisogni. La vicenda di Abramo ce lo ricorda bene nella prima lettura di oggi: siamo fatti per generare la vita, tutti, anche chi non si sposa, anche chi non ha la possibilità, una volta costruita una famiglia, di generare dei figli: noi siamo pienamente umani se amiamo e se portiamo vita attorno a noi, se facciamo fiorire vita nelle persone che incontriamo e ci incontrano, vita in abbondanza, come una moltitudine di stelle nel cielo. Non ci realizziamo da soli, ma insieme e il primo “insieme” è proprio nella famiglia, quella da cui siamo nati e quella a cui stiamo dando vita con la nostra esistenza, sia essa una famiglia alla maniera di Gesù, Giuseppe e Maria o una famiglia spirituale, una comunità a cui ci dedichiamo nel Signore.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea