“Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”” (Mc 1,41).
Siamo nel 2018 e in tanti anni di storia abbiamo fatto passi da gigante nella scienza e nella tecnica, ma il fenomeno dell’emarginazione, anche violenta, è ancora presente in diverse forme. Ci sono episodi violenti di pestaggio e di violazione dei diritti, ma anche tante storie quotidiane di pregiudizi, critiche, accuse e chiusure all’università, nel luogo di lavoro, in paese, in parrocchia, addirittura in famiglia. A volte saliamo sulla sedia dei “perfetti” che hanno il diritto di puntare il dito sugli altri. Altre volte, poi, tra gli esclusi ci siamo noi, o perché veniamo emarginati dagli altri, magari anche per la nostra fede, o perché noi stessi evitiamo il confronto o anche solo l’incontro: a volte veniamo esclusi, altre volte scegliamo di starcene fuori dal gruppo, dalla società o dalla comunità, quasi non ci meritassero, oppure per timore, paura, sfiducia.
Per tutti noi giunge oggi la parola di Dio.
Lungo il suo cammino, Gesù incontra un lebbroso, una persona che, come indica la prima lettura di questa domenica, apparteneva ad una categoria relegata per legge ai margini dalla società, esclusa a motivo della malattia piuttosto infettiva, ma anche della cultura per cui se uno era ammalato così era perché, lui o qualcuno dei suoi familiari, aveva commesso dei peccati gravi.
Stupiscono gli atteggiamenti di entrambi.
Guardiamo Gesù, anzitutto. Non si comporta come gli altri, non evita il lebbroso, ma supera la legge: ha compassione di lui, che non è la commiserazione, ma autentico amore, e con decisione tende la sua mano forte verso il lebbroso, quasi a tirarlo fuori dalla sua condizione; poi con la sua potente parola lo “purifica”, lo guarisce e gli ridà un posto nella società.
Anche il lebbroso fa la sua parte. Non accetta di starsene in disparte, non accetta di essere umiliato, di non avere un nome, ma si dà il diritto di avvicinarsi a Gesù anche se non poteva farlo (!) e gli chiede aiuto, fidandosi della sua forza.
La guarigione e il pieno reinserimento del lebbroso nel circolo delle relazioni avviene per la compassione, la potenza e l’amore di Cristo, ma anche grazie al protagonismo del lebbroso che esprime la propria volontà, il proprio bisogno, il desiderio di essere sanato e di essere qualcuno nella società.
Questa Parola, forse ci chiama a tralasciare le durezze nei confronti degli altri e ad avere più compassione, a farci imitatori di Cristo verso chi è ai margini? Forse ci chiama a prendere il coraggio tra le mani per uscire dalla nostre chiusure e chiedere aiuto al Signore e agli altri e permettere loro di aiutarci?
Essa anzitutto ci chiama a riconoscere un dono che portiamo noi e tutti gli altri, un dono capace di incidere profondamente sulla nostra vita, per sempre, e di darle una direzione nuova: noi siamo figli di Dio, figli amati da Dio e capaci di vivere e di amare alla maniera di Gesù. Viviamola questa dignità, apriamoci alla vita dei figli di Dio, il cui valore viene dallo Spirito e non dalle nostre capacità, dalle nostre conquiste o dai nostri meriti. Abitiamo la nostra dignità di figli di Dio e sarà possibile e bello vivere anche nella fraternità con gli altri.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea