La fedeltà. Testimonianza di fra Gabriele, frate conventuale

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Mi chiamo Gabriele, ho 40 anni, sono originario della provincia di Bergamo e sono un frate dell’Ordine dei frati minori conventuali. Nel 2007 sono entrato in convento per il postulato e il noviziato e nel 2010 sono diventato frate, confermando definitivamente la scelta con la professione dei voti solenni nel 2014. Dopo varie esperienze nelle realtà socio caritative della provincia religiosa, dallo scorso autunno sono in servizio presso la Basilica del Santo.

Il tema di cui vi accenno questa sera è il tema della fedeltà. Per parlarvene vi devo raccontare un qualche aspetto della mia storia vocazionale. Io vengo da un percorso di conversione. Dopo aver ricevuto la Cresima da ragazzino smisi di frequentare la chiesa per una decina di anni. Nel frattempo diventai un ragazzo e poi un giovane e gli interrogativi sul senso della vita si fecero sempre più insistenti. Nonostante avessi una bella famiglia, un bel gruppo di amici e un lavoro che mi piaceva, ero abitato da un’inquietudine di fondo. All’età di 18 anni feci però l’esperienza del servizio civile prestando servizio presso una casa che ospita persone disabili. Questa realtà suscitò in me una domanda che fu per me importantissima: “Come mai queste persone (i disabili) che non hanno ricevuto tante cose belle dalla vita, sono felici e trasmettono felicità, e io che, ho tutto dalla vita, non sono felice?”. Il primo elemento della fedeltà per me fu (e lo è anche tuttora) il non fuggire le grandi domande che la vita stessa mi pone. Fu una domanda che non mi portò immediatamente a Cristo, ma Lui mi si rivelò pazientemente nel tempo, a partire però soprattutto proprio dall’incontro con i disabili, nel loro volto, nella gioia semplice e feriale che sapevano trasmettere. Dopo il servizio civile continuai a prestare servizio come volontario in quella struttura. Solo alcuni anni più tardi cominciai a pregare e a fare una rinnovata esperienza di Dio, anche grazie a un paio di pellegrinaggi compiuti come accompagnatore di queste persone disabili. Il primo a Roma nell’aprile 2005, proprio nei giorni in cui morì san Giovanni Paolo II. Il secondo ad Assisi nell’aprile del 2006, dove conobbi la figura di san Francesco e che mi entusiasmò. Fu un periodo in cui cominciai anche a interrogarmi su una chiamata vocazionale, ma nel medesimo tempo batteva forte in testa anche questo pensiero: “Te la stai inventando la vocazione. Da cosa stai scappando?…”. L’esperienza che feci del Signore in quei mesi però fu molto forte e sentii la necessità di non rimanere alla superficie della questione, ma di interrogarmi profondamente cosa volesse il Signore da me. Per cui mi affidai ad un padre spirituale, un frate che conobbi qualche mese prima. Il Signore, che è fedele e grande nell’amore, mi preparò già il percorso. Più pregavo, più frequentavo Cristo e più percepivo di essere dentro il percorso giusto senza sapere ancora bene cosa Lui volesse effettivamente da me. Nel giugno del 2006 decisi di fare un piccolo voto alla Madonna e mi presi un impegno che vi farà anche sorridere, rinunciando a frequentare in quei frangenti il gruppo di amici. Ogni domenica pomeriggio del periodo estivo sarei andato a pregare in un santuario mariano chiedendo alla Beata Vergine di farmi capire cosa dovessi fare della mia vita. La mia povera preghiera, per l’intercessione di Maria, era questa: “Signore, cosa vuoi che io faccia? Signore, cosa vuoi dalla mia vita? Signore, tu lo sai che non ci sto capendo nulla della mia vita, non so cosa fare”. Sì, proprio così, perché continuavo a mantenere una certa riserva, un certo distacco, in definitiva una certa paura anche dell’idea di fare una scelta di vita impegnativa, unica, che perciò escludesse altre vie. Ma proprio in quei giorni cominciò a risuonare dentro di me la parola che il Signore Gesù pronunziò ai suoi apostoli nel cenacolo: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16). E questa frase la percepivo affiorare continuamente nel cuore dandomi tanta pace e serenità. Stando sempre più in intimità con Gesù cominciai a capire che la fedeltà ha il suo stesso volto, la fedeltà è Cristo stesso! La fedeltà è una relazione di fiducia dove ci si abbandona alla Sua volontà, con la crescente convinzione che di Lui ci si può veramente fidare. Come successe a me, per grazia, facendo esperienza della sua fedeltà soprattutto incontrandolo nei più bisognosi, nei

sacramenti, nell’ascolto della sua Parola e nella preghiera. Non si tratta di percorrere una strada facile, ma significa essere nel solco del vangelo che dà senso e gioia al nostro vivere, anche quando i piani non sono esattamente quelli pensati e premeditati. Un po’ come nell’esperienza di sant’Antonio, desideroso di annunciare il vangelo nella terra africana e disponibile ad annunciarlo fino al dono della propria vita subendo il martirio. E invece Antonio restò pochissimo in quella terra perché una brutta malattia, probabilmente la malaria, lo costrinse a letto. Una volta ristabilitosi un poco, decise di ritornare nella sua terra natale, in Portogallo, ma il mare in tempesta lo fece approdare a Capo Milazzo, in Sicilia. Da qui partì verso il nord lungo la dorsale italica e dove ebbe modo di stanziarsi anche a Padova. Naufragare, come è successo a sant’Antonio, non è essere abbandonati dal Signore. È fare un’esperienza nuova, inattesa. In tutto ciò Lui desidera che lo amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto il corpo, e che gli siamo fedeli, nonostante tutto. È il “tutto” a fare la differenza. E in questo solo l’esperienza concreta della sua fedeltà può fare breccia dentro di noi.

A ciascuno di voi allora pongo un paio di domande: “Ma io, sono in ascolto del Signore e sto facendo esperienza del Dio fedele e che non revoca mai e poi mai il suo amore per me? Mi sto lasciando interrogare dalla Sua presenza nella mia esperienza di vita così come si presenta oggi?

 

fra Gabriele

 

Veglia Diocesana delle Vocazioni
Cattedrale di Padova
8 maggio 2023