“Che sarà mai questo bambino? (Lc 1,66)”
Non sarebbe del tutto appropriato, ma oggi potremmo benissimo inserire tra i canti anche “Tanti auguri a te”. La festa di oggi è quasi una festa di compleanno: in tutta la Chiesa, infatti, si ricorda la nascita di Giovanni il Battista.
Come per la nascita di ogni bambino, anche questa nascita è motivo di gioia: questo bambino fa nascere in noi sentimenti di meraviglia e stupore per la vita e diventa riconoscenza al Signore. Accanto alla gioia, però, sentiamo anche curiosità: come la gente alla nascita di Giovanni, anche noi ci chiediamo “che sarà mai questo bambino”, desiderosi di sapere quale sarà il futuro di questo nuovo nato.
Dai racconti del Vangelo noi conosciamo qualcosa di lui.
Anzitutto questo bambino sarà una persona semplice, povera, austera: vivrà nel deserto, nutrendosi di locuste e miele selvatico e vestirà di peli di cammello; starà nella solitudine, nel silenzio, preparandosi a vivere da profeta.
Giovanni, poi, sarà un profeta, un predicatore che annuncia la venuta del regno di Dio, l’arrivo di Gesù e per questo chiederà la conversione ai peccatori, il cambiamento di vita: alle folle raccomanda l’amore fraterno; a chi ha due tuniche di darne una a chi non ne ha; agli esattori delle tasse che operavano al soldo dello straniero (molti avrebbero detto loro di cambiare lavoro!) dice esplicitamente di non essere esosi, ma giusti; ai soldati raccomanda di non fare prepotenze, ma di accontentarsi della paga.
Vivrà tutto in funzione di Gesù, lo battezzerà al Giordano, lo indicherà a quelli che attendono la venuta del Regno di Dio e si farà da parte per lasciare spazio a lui e alla sua parola. Per amore del regno di Dio e del Messia darà la vita: sarà decapitato quando rimprovererà a Erode la sua convivenza con la moglie del fratello e molte altre malefatte.
“Che sarà questo bambino”, ci stiamo chiedendo e allo stesso tempo sentiamo che questa domanda rimbalza su di noi: chi siamo noi, chi saremo, chi siamo chiamati a diventare?
Come Giovanni anche noi siamo stati chiamati dal Signore alla vita, ma anche a vivere la nostra esistenza in un modo particolare. Nel battesimo tutti noi siamo stati unti con l’olio del Crisma, olio che ci ha resi come Cristo, sacerdoti è, re e profeti: a ciascuno, quindi, ha chiesto parlare a nome del Signore, di annunciare il Regno che viene, il Signore Gesù che ci ama, ha dato la vita per noi ed è risorto. Ma, precisamente, quali parole Dio ci chiede di dire? Quale testimonianza ci chiede di dare?
L’austero Giovanni vive nel deserto, vive in modo rigoroso la sua fede, ma non dice a nessuno di fare altrettanto e così comprendiamo che per essere profeti del Signore noi non dobbiamo cambiare lavoro, città, stato di vita, bensì rendere più cristiano ciò che già facciamo, vivere da cristiani autentici la vita quotidiana e normale. È così che il Signore ci chiama a vivere la nostra fede. Non è una cosa da poco cambiare il nostro modo di stare in famiglia, al lavoro, con gli altri, in parrocchia, in paese,… a volte abbiamo paura di cambiare il nostro stile, il nostro linguaggio, i nostri orari, i nostri impegni: “Che cosa diranno gli altri se mi comporto in un modo diverso? È troppo difficile, mi costa troppo essere più fedele al vangelo. Solo i preti e le suore devono vivere fino in fondo la vita cristiana”.
Se il Signore afferra il nostro cuore, però, se gli permettiamo di farlo e prendiamo in considerazione seria la nostra dignità di battezzati, non sarà poi così difficile vivere le cose di sempre con un cuore nuovo. Se Cristo diventa il centro della nostra vita, se viviamo per lui, tutto diventa possibile, anche cambiare qualcosa della nostra vita.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea