“Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e fu invitato anche Gesù” (Cf. Gv 1,1-2)
All’inizio del tempo ordinario, ci viene donato in questa domenica il racconto degli inizi della vita pubblica di Gesù nel Vangelo di Giovanni. Il primo gesto pubblico che Gesù compie è quello di andare a una festa di nozze. Se ci pensiamo bene, forse ci verrebbe da giudicare questa scelta e dire: non c’erano cose più urgenti che stare una settimana ad una festa? Lebbrosi da sanare, ingiustizie da denunciare, peccatori da convertire, indemoniati da liberare? In realtà, se entriamo con attenzione nella scena, scopriamo il perché della sua scelta.
Nel vangelo che abbiamo ascoltato si racconta di una festa di nozze, ma si parla pochissimo degli sposi: per nulla della sposa e soltanto alla fine dello sposo. Potrebbe sembrare un particolare da poco: in realtà mette in luce il segreto di questo episodio. Il centro del racconto non è la festa di nozze, ma Gesù che agli inizi della vita pubblica subito si manifesta a noi, ci dice chi è e come mai è venuto in questo mondo: egli è venuto tra noi come uno sposo; egli è lo sposo dell’umanità. Gesù è l’espressione dell’amore di Dio per noi, di Dio che ci ama come una sposo con la sposa, con tenerezza e passione, per sempre. Egli esprime in questo episodio tutta la portata della sua presenza di Messia: è il Salvatore che trova in noi la sua delizia e viene tra noi per amarci, per darci un nome nuovo, condividere con noi il tempo, gli affetti, la festa, la vita; egli non è un Dio triste, preoccupato soltanto di mettere in ordine questo mondo, ma Dio che ci ama e vuole entrare in relazione con noi e aprirci alla gioia della comunione intima con lui.
Gesù è lo sposo dell’umanità e della Chiesa, colui che ha a cuore che l’umanità viva in pienezza e non manchi di tutto ciò che le è necessario per realizzare la propria esistenza: ecco perché compie il segno del vino. Egli è colui che ci dona “il-di-più-necessario” che da la gioia, la festa, il gusto di vivere, la pienezza. Egli è colui che porta la gioia del vero benessere all’umanità e lo fa trasformando l’acqua: non riempie di vino in modo magico le anfore, ma trasforma dell’acqua, trasforma ciò che c’è. E così ci manifesta anche in che modo vuole darci il suo vino: viene tra noi e ci chiede di fidarci di lui, di consegnargli la nostra vita per renderla migliore, trasformarla in meglio. Nella seconda lettura, San Paolo sembra anche indicarci qual è il vino della vita. Egli ci indica nell’unità, nella comunione fraterna, nell’armonia delle differenze, come direbbe don Tonino Bello, “il-di-più-necessario” che realizza l’umanità e la Chiesa. È nella comunione, quel legame profondo dono dello Spirito e spesso trascurato, rovinato, dato per scontato che porta a compimento l’opera di Dio.
Accogliamo il Signore che viene come sposo, fidiamoci della sua mano e stringiamola come una sposa stringe quella del suo amato. Portiamo a lui con verità la nostra persona e quella di chi pensiamo che non possa cambiare, la vita delle nostre famiglie e comunità, le comunità cristiane sparse nel mondo e divise e chiediamo a lui di trasformare ogni cosa, esaltandone la bontà, come vino che rende piena la vita.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea