“Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto e,
secondo il suo solito, di sabato,
entrò nella sinagoga e si alzò a leggere”
(Lc 4, 16)
L’appartenenza alla Comunità
Nel terzo mistero abbiamo ascoltato di Gesù che entra nella sinagoga, si alza e inizia a leggere un passo del rotolo. A questo versetto ne seguono altri in cui ci viene descritto il clima presente all’interno della sinagoga: “tutti si riempirono di sdegno” ci dice l’evangelista Luca; e poi, ancora: “si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.” – Lc 4, 29-30 Questa sera per la mia testimonianza vorrei partire proprio da qui: perché Gesù torna a Nazaret se sa già di non essere il ben accetto (dice infatti: “in verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.” – Lc 4, 24)? Per rispondere possiamo provare ad accostarci a questi avvenimenti con gli occhi della nostra esperienza di fede e di comunità.
Mi piace pensare alla comunità come ad un qualcosa che fa parte di noi fin dalla nascita e che rimane in noi per sempre, come un’impronta indelebile. Le nostre comunità di origine sono colme di ricordi, di volti, di storie, di strade che fanno tornare alla memoria vicende vissute, sia belle che brutte; sono uno scrigno dentro al quale custodiamo i ricordi che ci accompagneranno durante tutta la nostra vita e che ci daranno una mano nel momento delle scelte meno o più impegnative che incontriamo giorno dopo giorno.
Fin da bambino, grazie soprattutto alla famiglia, la mia comunità d’origine ha avuto un ruolo molto importante. Da subito ho partecipato, prima come animato e tutt’ora come educatore, al GrEst, ai campiscuola, all’ACR e alle tante proposte annuali presenti in una parrocchia. Questi erano momenti dell’anno in cui, oltre che a partecipare attivamente, vedevo “all’opera” la mia comunità: animatori che correvano a soccorrere un bambino, educatori pronti ad ascoltarti quando era un momento difficile, uomini che si davano una mano nella preparazione della festa della comunità, donne che erano sempre disponibili ad aiutare qualsiasi fosse il ruolo da ricoprire. Proprio in questi momenti, rileggendo le esperienze passate, posso dire di aver ricevuto dei doni con i quali ho condiviso alcuni passi più importanti della mia vita: il coraggio, che mi ha permesso di essere qui oggi insieme ai miei compagni di Casa Sant’Andrea; la paura che, in piccole quantità, ho scoperto non far mai male; lo spirito del servizio, mettendomi accanto continuamente persone capaci di donarsi completamente; i gesti di carità verso chi ha più bisogno. Insieme al “fare”, infatti, questi uomini e queste donne mi hanno trasmesso anche quella voglia e quel senso di necessità di un qualcosa di più del semplice “fare”. Anche se in modo molto semplice, ogni momento è accompagnato da una preghiera, da un affidamento al Signore per quello che si sta compiendo, da un canto oppure da un momento di condivisione: ci ricorda l’appartenenza ad una comunità più ampia che è la Chiesa (con la ‘C’ maiuscola) il quale compito fondamentale è quello di dare testimonianza della risurrezione di Gesù Cristo, di un Gesù vivo e di un Gesù che è fra noi.
Con la propria comunità, con il passare degli anni, si crea e si stabilisce un legame fortissimo, difficile (quasi impossibile) da sciogliere, e in quest’anno di Casa Sant’Andrea l’ho provato sulla mia pelle. Già ad ottobre, pochi giorni prima che l’anno di discernimento iniziasse, ho realizzato il fatto di dover stare via di casa dal lunedì al venerdì per tutte le settimane per poco più di otto mesi; questo, ad essere sincero, mi ha fatto non poca paura: non avrei più partecipato agli incontri con il gruppo giovani, agli incontri con gli animatori, alle riunioni, ma sarei diventato solamente un estraneo alla vita comunitaria, vivendola solo al sabato e alla domenica, arrivando a paragonarmi ad un turista di passaggio. Questo è quello che pensavo all’inizio dell’anno. Con il passare delle settimane il senso di appartenenza alla comunità non stava svanendo e iniziai a capire la forza del legame creatosi in questi 22 anni di vita, così che il weekend piano piano è diventato la “ricarica” per la settimana successiva e occasione per portare il mio contributo a partire dal vissuto della settimana passata.
Le nostre comunità non sono e non saranno mai perfette, delle comunità ideali, e questo Gesù lo sapeva molto bene, ma non sono queste imperfezioni a rendere non-comunità una comunità che continuerà sempre e comunque ad accogliere, a condividere, a donare, ad essere quel prezioso scrigno che contiene i nostri ricordi e a testimoniare che «Cristo vive, è fra noi e ci vuole vivi!» (le prime parole dell’esortazione apostolica “Christus Vivit” di papa Francesco).
– Marco Scagnellato