“Non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini” (Lc 14,12)
Quando Gesù parla di “cedere il proprio posto” mi torna sempre in mente una storia che ho letto a 12 anni, in un campo vocazionale, da un libretto che mi consegnò un frate. Questa storia si ambienta nel campo di concentramento di Auschwitz durante la Seconda guerra mondiale. I prigionieri sono allo stremo delle forze e il comandante quella sera ordina l’ennesima adunata annunciando però che questa volta dieci di loro saranno scelti per essere condannati a morire di fame e di sete in un buio bunker sotterraneo. Senza fretta gli aguzzini scelgono dieci persone e le dispongono davanti in prima fila. Tutti gli altri prigionieri restano indietro e non si vergognano di tirare un sospiro di sollievo, sono salvi, si può continuare a sperare di poter tornare a casa.
D’improvviso dalle file dietro, tra i salvati, esce un uomo che si pone davanti il comandante e dice: “voglio morire al posto di uno di questi dieci uomini”. Il comandante gli chiede: “chi sei?”. “Sono un prete cattolico” risponde lo sconosciuto che per un attimo mette davanti al capitano tutta la grandezza e umanità a cui un uomo di Dio può arrivare. “Ebbene per chi vuoi morire?” – riprese il comandante un po’ confuso. “Per questo padre di famiglia” – rispose il nostro individuo. Li portarono via tutti e dieci e questo piccolo grande uomo fece cantare con canti di gioia i suoi compagni di supplizio tanto che tutto il campo di concentramento iniziò a cantare. Non ci sono dubbi: siamo di fronte a qualcosa di grande, di luminoso e di divino che costrinse le stesse guardie e il comandante a dire: “non abbiamo mai visto qualcosa di simile”. Il nome di questo prete era Massimiliano, san Massimiliano Maria Kolbe, un padre conventuale polacco fatto santo da Giovanni Paolo II nel 1982 proprio per questo gesto.
La questione in cui ci orienta questo racconto allora sembra essere sempre la stessa: a tanti di noi piacciono i primi posti, ci piace stare in qualche modo davanti, avere uno spazio nella storia dell’umanità senza particolare fatica. San Massimiliano Kolbe invece ci insegna che i veri primi posti sono quelli che costano di più di una vita comoda e disinteressata. I primi posti sono quelli che richiedono lo sforzo di abbandonare l’amor proprio per essere pervasi dall’amore per i fratelli. La storia di san Massimiliano ci illumina e ci libera ma soprattutto ci fa sentire che l’uomo è vocato a questa grande vetta dell’amore. La prima chiamata, la prima vocazione a cui tutti siamo interpellati è quella di saper amare fuori da noi stessi; amare è la prima vocazione che ogni cristiano porta inscritta nel proprio cuore. Il come realizzare questo progetto d’amore prende forma nelle vocazioni specifiche come il matrimonio, il ministero ordinato, la consacrazione, il servizio ai poveri e tanti altri modi con cui Dio ispira continuamente la sua chiesa attraverso forme ministeriali sempre più puntuali.
A noi, con tutta probabilità, non sarà forse mai chiesto un sacrificio di amore simile a quello di san Massimiliano, ma finché davanti a me metterò solo me stesso e i miei piccoli bisogni non potrò mai realizzare a pieno il progetto d’amore che Dio ha pensato da sempre per me. C’è un semplice criterio per capire se siamo ben incamminati in questa strada: la generosità, il saper donare senza necessariamente avere in contraccambio qualcosa, e questo ce lo dice proprio Gesù oggi con queste parole: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio”.
don Alessio Rossetto