Questa riflessione sarà di due parole.
Meglio: vorrei che vi consegnasse due parole!!!
La prima è una sillaba breve: DI.
È una parola che si usa per esprime un’appartenenza, un legame.
Ebbene questa parola richiama tanti nostri legami. Ognuno di noi è di qualcuno, appartiene a qualcuno, ossia è legato a delle persone. Forse abbiamo dei legami che domandano di crescere nell’autonomia, nella distinzione, così da non essere delle stampelle e tanto meno dei legacci, ma accanto ad essi ce ne sono molti altri che viviamo nell’amore, nella libertà, legami che fanno bene, che danno entusiasmo al cuore, che aiutano a vivere in pienezza.
Uno di questi legami è anche quello che abbiamo con il Signore, con Dio. Tra noi e Dio c’è un legame indissolubile, reciproco: noi apparteniamo a lui e, pur in modo diverso, lui appartiene a noi, in un legame che ci fa bene, che fa vivere pienamente. È un legame così totale che il Signore giunge a qualificarsi non con un nome proprio, ma con il nome di quanti ha amato. Egli è il “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, ossia è legato a queste persone, a questi credenti. E così pure egli è legato a noi. Egli è anche il “Dio di Silvano, di Andrea, di Giacomo, di Marta, di Stefania,…” e ciascuno di noi può aggiungere il suo nome.
Se Dio è così… non può finire tutto con la morte. Se quei nomi, quelle persone non esistono più, è Dio stesso che non esiste. Se quel legame si dissolve è il nome stesso di Dio che si spezza. Ecco cosa ci annuncia oggi il Signore: egli è così legato a noi che non permetterà mai che il nostro legame si spezzi, neanche a motivo della morte. La nostra morte dà a Dio l’occasione per rendere eterni i nostri legami con lui e tra di noi. Saranno diversi questi legami da quelli che viviamo oggi: ma non ci sarà tolto quel DI, ossia continueremo a viere legati gli uni agli altri e al Signore, in un legame d’amore più grande. Ogni amore vero che abbiamo vissuto si sommerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, donerà non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità.
Ed ecco la seconda parola: GRAZIE.
Quante volte diciamo “grazie” o, meglio, quante volte non lo diciamo?!
Tante volte diamo tutto per scontato! In famiglia diamo per scontato la presenza del coniuge, dei genitori, dei figli e diamo per scontato quanto ognuno fa per l’altro. Così pure negli altri ambienti. Anche in Parrocchia, molte volte, diamo per scontata la presenza delle persone, il servizio nei diversi ambiti e gruppi: spesso tutto è dovuto e si mette in evidenza l’altro solo per quello che non fa o, meglio, ciò che non fa secondo i nostri gusti.
E questo avviene anche con Dio. Spesso, consapevoli che ogni bene viene da lui, ci rivolgiamo al Signore per chiedere qualcosa. Non altrettanto, invece, per ringraziarlo, per dirgli grazie di ciò che siamo, di ciò che abbiamo, delle persone che abbiamo accanto, della vita, della fede…
Giornata del ringraziamento di questa domenica, per i frutti della terra e per il dono del creato, ci invita, però, ad essere riconoscenti con gli altri e con il Signore. Il “grazie” esprime anche la scoperta del dono: chi dice “grazie” è una persona che si accorge di aver ricevuto un dono, un di più che non le era dovuto, un di più che da solo non avrebbe potuto darsi. Un “grazie” detto sinceramente, un “grazie” detto in modo spontaneo o anche sofferto, è il segno che ci riconosciamo piccoli e limitati, che non siamo autosufficienti e abbiamo bisogno degli altri e di Dio, del loro amore, delle loro attenzioni, del loro aiuto.
“Grazie” è una parola da scoprire, da imparare a vivere e pronunciare in modo sincero verso gli altri, verso chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita. “Grazie” è la parola che esprime ogni Eucaristia e che in questa domenica può raccogliere la gratitudine a Dio per tutto ciò che siamo, in particolare per la sua provvidenza e per il creato, che vogliamo impegnarci a rispettare perché altri lo possano ricevere come dono.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea