Nella attuale fase di discernimento in cui l’Assemblea Sinodale sta discutendo e decidendo sui “ministeri battesimali” come via, modello, per la sussistenza delle comunità cristiane, in questo mese di ottobre, mi viene offerta la possibilità di riflettere sul ministero diaconale e sulla mia identità di diacono.
Varie volte mi sono chiesto: chi sono? Innanzitutto, come appare ovvio, sono un essere umano, nato da una relazione, cresciuto in una famiglia che, dopo poche settimane di vita, ha chiesto per me il Battesimo. Ho capito più tardi che, grazie ai miei genitori e alla loro fede, sono stato innestato in Gesù Cristo e, grazie allo Spirito, di essere da quel giorno diventato partecipe del suo essere Sacerdote, Profeta e Re. I miei genitori, come già chiamati nell’amore a darmi la vita, così sono stati chiamati nella fede a darmi la vita in Cristo; in entrambi i casi, sia per la vita biologica che per quella spirituale, essi sono stati un mezzo attraverso il quale ha agito Dio[1]. È un mistero la grazia di Dio attraverso la risposta delle persone alla Sua chiamata. Mistero è anche la risposta che mi sono dato quando ho realizzato che in definitiva, dal punto di vista meramente pratico, continuavo a svolgere attività che svolgevo in parrocchia già prima e ciò ha fatto sorgere in me la domanda: che necessità c’era di diventare diacono? O quando ho considerato di aver conosciuto e cooperato con tanti laici, sia uomini che donne, che portavano delle responsabilità pastorali in seno alla comunità oppure quei laici[2] che potrebbero in futuro venire eletti al servizio ecclesiale come “animatori” della pastorale nella catechesi, nella liturgia e nella carità: cosa mi distingue da loro? Non rischio di divenire un “duplicato” di ciò che già esiste e magari funziona anche meglio? Più volte sono stato tentato di darmi una risposta pragmatica che rischiava però di seguire la logica del mondo e infatti perciò “si tratta di un mistero non di un affare”[3]. Credo proprio che il mistero risieda nella vocazione, in una chiamata e in una risposta, e in questo i miei riferimenti sono Gesù (Fil 2,6-8) e Maria (Lc 1, 26-38)[4].
In questo consiste il ministero a cui sono stato ordinato; ordine che ha conferito un carattere sacramentale a tutto il mio essere, anima e corpo, di figlio, marito, padre, già lavoratore, trasformando in apostolato tutta la mia vita e non le singole attività. E qui trovo che ciò che mi distingue dai fratelli laici, impegnati come me e anche più di me, risiede non tanto nel “fare” quanto nell’ “essere”. Mi sono state, infatti, “imposte le mani” non per il sacerdozio, ma per il servizio[5] esplicato nella “diaconia”, il “servire senza presiedere”[6] della liturgia, della predicazione e della carità, poiché tutti e tre sono uniti nel servizio indicato da Cristo per i fratelli. Per tale motivo, porto impresse le parole del Vescovo che mi consegnava il Santo Vangelo nel rito di Ordinazione: “Ricevi il Vangelo di Cristo di cui sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni”; quante volte la responsabilità della testimonianza mi è stata ricordata prima di tutto fra le mura di casa.
La speranza per il futuro è che la grazia del diaconato mi porti ad essere ciò che il Signore vuole da me e che io riesca a dare alla Chiesa il servizio di cui essa ha bisogno. Mi aspetto poi che dal Sinodo emerga l’esigenza non solo di una Chiesa “costitutivamente missionaria” e “costitutivamente sinodale” ma anche l’esigenza di una Chiesa “costitutivamente diaconale”[7]. Per questo, la sfida dei “ministeri battesimali” potrebbe essere profezia e germoglio di nuove vocazioni al diaconato.
Mestrino, 23 ottobre 2023
diacono Giorgio Toffanin
della Parrocchia di Mestrino
[1] Un po’ come per quei “barellieri” che hanno calato il paralitico dal tetto della casa in cui si trovava Gesù (Mc 2, 1-12); (sono stati mossi dalla pietas o forse è lo Spirito che li ha chiamati attraverso quella, agendo poi in Gesù?)
[2] Che la Lumen Gentium (n. 33) già definiva “chiamati, come membra vive, a contribuire alla crescita e alla santificazione incessante della Chiesa con tutte le loro forze ricevute dal Creatore per mezzo della grazia del Redentore”
[3] Mons. Roberto O. González Nieves, O.F.M. Arcivescovo di San Juan de Puerto Rico, in “Il diaconato permanente: identità, funzioni, prospettive”, 19 febbaio 2000, Santa Sede
[4] tenendo però presente la Parola, che vale per tutti: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15, 16)
[5] LG, n. 29 “In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio” (non ad sacerdotium, sed ad ministerium)
[6] Cit. 3
[7] Dal discorso del Santo Padre Francesco ai diaconi permanenti della Diocesi di Roma del 19 giugno 2021