“Non di solo pane vivrà l’uomo”
Con il mercoledì delle ceneri siamo entrati nella Quaresima, un periodo di quaranta giorni in preparazione alla Pasqua. Ci siamo entrati in modo strano: nel silenzio, forse anche nella solitudine, “non convocati”, come ci ha detto il vescovo Claudio nel suo messaggio per la Quaresima. Forse questa solitudine ci permette di fare un’esperienza nuova, di vero deserto, così come quello vissuto da Gesù e descritto nel vangelo di oggi. A noi è chiesto in qualche modo di metterci in “quarantena”, in attesa che cambi qualcosa, che evolva una situazione, ma anche e soprattutto per prenderci cura di noi e, così facendo, degli altri. Quaranta giorni.
Il numero quaranta è un numero ben conosciuto dal popolo ebraico: 40 giorni di Noè sull’arca prima di toccare terra, 40 giorni di Mosè sul monte Sinai prima di ricevere la Legge, 40 anni nel deserto prima di entrare nella terra promessa… e non sarebbe finita. Il numero 40 definisce un periodo di tempo prima che accada qualcosa di importante. Per Gesù questi quaranta giorni nel deserto precedono l’inizio della sua vita pubblica. Prima di portare agli uomini la Parola, la Buona Notizia, il perdono dei peccati, la salvezza, Gesù trascorre la sua “quarantena”. Prima di tutto il resto ha bisogno di sapere veramente lo stato della sua salute. Non si tratta di un accidente o di una disposizione presa di sua iniziativa: è lo Spirito Santo che lo conduce nel deserto. Si tratta di una necessità. Il virus non tarderà ad arrivare e a metterlo alla prova.
Il periodo che Gesù trascorre nel deserto è un tempo di solitudine, ma non solitario. Se è lo Spirito Santo a condurlo significa che non è solo, ma costantemente dentro a quella relazione che lo fa rimanere a contatto con il Padre. Questa relazione, tolto tutto il resto attorno, a un certo punto comincerà a brillare e a far sentire tutta la sua forza. Questo non avverrà attraverso miracoli eccezionali, ma cominciando da una constatazione molto semplice: Gesù ad un certo punto ha fame.
La fame dice una nudità, una fragilità, una debolezza, indica che la vita dipende da qualcos’altro fuori di noi. La fame è un bisogno primario: quando non è soddisfatta tutti gli altri bisogni passano in secondo piano. È proprio dentro all’esperienza della fame che Gesù comprenderà che cosa viene addirittura prima della fame: la sua relazione con il Padre. Non solo: lo comprenderà ancora di più quando questa stessa relazione, l’unica cosa che gli è rimasta, verrà messa in discussione dal diavolo.
Il diavolo insidia sempre a partire da una falsità: «È vero che Dio ha detto “non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?», quando invece Dio aveva vietato solo l’albero della conoscenza del bene e del male. «Se tu sei il Figlio di Dio…» dice a Gesù, mettendo in dubbio la sua identità. Nel momento della fame vengono messe in dubbio le certezze, è più facile distorcere la verità, persino la Parola di Dio: «Darà ordine ai suoi angeli…» dice il diavolo, usando le parole del salmo 90 per spingere Gesù a mettere in mostra chi è veramente abusando del suo essere Figlio di Dio.
Gesù invece fa l’unica cosa che può fare, e che la sua relazione con il Padre lo abilita a fare: rimettere la propria vita nelle mani di Dio. Dio è il solo di cui fidarsi, il solo da amare incondizionatamente al punto da rinunciare alla propria “potenza”. Gesù può resistere perché Dio è al cuore della sua esistenza. Sa che la sua missione è quella di servirlo, non di farsi servire; di mettere al centro la sua Parola, e di farlo con uno stile che dice l’umiltà, il perdono, la salvezza, non il potere o la sottomissione degli altri, il dominio, la ricchezza. Questo stile lo caratterizzerà sempre, persino quando, sul punto di essere tradito, laverà i piedi ai suoi discepoli.
Nella nostra quaresima, nella nostra “quarantena”, anche a noi può capitare di sentire la fame. La fame del tutto subito, di una realizzazione immediata, di una decisione da prendere, o di riempire il tempo con ciò che ci aggrada piuttosto che con una vera ricerca. È riconoscendo questa fame che possiamo comprendere anche dove si trova il nostro cuore, se è fisso in Dio, per ricercare sinceramente la sua volontà, o se è ricurvo su di noi, su quella fame che si vuole semplicemente far tacere, magari mettendo in dubbio segni, intuizioni, moti del cuore che hanno mostrato una strada di cui abbiamo preso paura, o usando impropriamente addirittura la Parola di Dio. Ma non dobbiamo dimenticare che siamo nel prima di qualcosa di grande che ci attende: anche noi possiamo superare il nostro deserto mettendo la nostra vita nelle mani di Dio, l’unico di cui potersi fidare davvero, l’unico la cui promessa di vita beata, felice, è destinata a realizzarsi anche in noi.
– Manuela, Collaboratrice Apostolica Diocesana