«È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Mt 28,7)
Sembra del tutto lontana ed estranea l’esperienza della Pasqua di Gesù dal vissuto nostro di questi giorni: mentre i Vangeli ci parlano di movimento, corsa e agitazione per una novità del tutto inaspettata, noi siamo in sosta obbligata, costretti a muoverci poco e a mantenere la calma. La stessa gioia delle donne, poi, appare completamente fuori luogo, oppressi come siamo dalla fatica di gestire le tensioni accumulate per lo stare sempre in casa, magari davanti a un pc, le preoccupazioni legate al lavoro, allo stipendio che si accorcia o a qualche caro ammalato o solo e la rinuncia all’incontro con le persone care o il dolore per la morte di alcune di loro. Non si può rimanere impassibili al sopraggiungere di un “terremoto” (Mt 28,2), tantomeno non spaventarsi all’apparire di un angelo il cui aspetto è “come folgore e il suo vestito bianco come neve” (Mt 28,3): eppure, noi siamo immobili nelle nostre case, impossibilitati ad uscire se non per cose necessarie. Non si può non gioire dinanzi alla risurrezione di un amico, del Maestro, del Messia: tuttavia, il nostro cuore fatica a sorridere davvero.
Uno sguardo più pacato e profondo, tuttavia, può anche non trovare così discordi queste esperienze. Forse, proprio in questa nostra situazione di emergenza la Pasqua ha la possibilità di emergere in tutto il suo valore. Quei sentimenti e pensieri che sperimentiamo in questo tempo, non erano del tutto estranei ai discepoli che hanno vissuto per primi la Pasqua del Signore e, ancor oggi, hanno a che fare con questo evento. Non erano tristi e disorientate anche le donne all’alba di quel primo giorno della settimana? Non erano tristi anche i discepoli in quel fine settimana, mentre a tavola non era più presente il Maestro e i ricordi erano feriti e appesantiti dal loro essersi allontanati da lui proprio nel momento del bisogno? E di fronte al sepolcro vuoto, che cosa avranno pensato e provato? Lavorati nel cuore dalla Quaresima e dal silenzio di questo sabato, nonché dalle rinunce chieste dalla quarantena, non dovremmo sentire del tutto ostile questa esperienza, ma piuttosto un’occasione feconda, un tempo da accogliere con piena fiducia per imparare a vivere davvero.
La Pasqua non è un’esperienza magica che toglie le ferite del dolore e della morte: non è come un tocco col dito sul tasto del reset del pc che riporta la situazione a una ripartenza come se non fosse successo nulla, ma piuttosto l’ingresso di una realtà del tutto nuova nel nostro mondo, nelle nostre storie, una nuova creazione, una partenza nuova che non toglie nulla di quanto è già stato ma permette di vivere ogni cosa in modo nuovo. La mattina di Pasqua le donne e gli altri discepoli sono state accompagnate a comprendere che per Gesù era iniziato qualcosa di completamente nuovo, mai accaduto prima, che aveva delle ricadute sulla loro vita. Così noi oggi siamo invitati a riconoscere che Gesù ha iniziato una vita nuova e che l’onda d’urto di questa novità ha la forza di arrivare anche su di noi e coinvolgere la nostra persona, i nostri cuori, le nostre relazioni, le nostre case. Non preoccupiamoci se la risurrezione del Signore non ci trova ancora del tutto coinvolti, se ancora fatichiamo a comprendere e vivere questo fatto: nei prossimi giorni, nel prossimo tempo, quando lui lo vorrà, Gesù Signore ci raggiungere di persona, ci verrà incontro, ci saluterà, si lascerà avvicinare, abbracciare e adorare (Mt 28,9). A noi è sufficiente non smettere di stare con fede davanti alla sua morte, non smettere di stare con sapienza dentro alle fatiche di questo tempo del tutto inaspettato, condividere, in casa e con quanti riusciamo a raggiungere, la speranza che nasce dalla fede, certi che “che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rm 8,28).
Non sappiamo quando e come ci sarà data la possibilità di uscire di casa, di incontrarci di persona e non più soltanto in modo virtuale o al telefono, di respirare a pieni polmoni la vita sociale ed ecclesiale, di allontanarci dai nostri sepolcri. Arriverà però quel giorno, arriverà quel tempo e desideriamo che ci trovi capaci di riconoscere il Signore e lasciarci sorprendere da lui che ci verrà incontro. Non andrà da sé che accada. Lo sapremo riconoscere e accogliere se ci saremo lasciati educare da quanto stiamo vivendo, se avremo lasciato alle relazioni di ogni giorno di farci diventare più umani, fraterni e solidali, se avremo lasciato alla Parola di riconciliarci con il limite, i nostri limiti e quelli della vita, non ultimo quello della morte che tanto temiamo e ci fa compiere un mare di azioni temerarie e malate. Il terremoto di questo giorno e di questo tempo scuoti le nostre deboli certezze e ci apra all’incontro con il Signore che desidera farsi vedere da tutti noi.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea