“Gesù la fece alzare prendendola per mano ed ella li serviva” (Mc 1,31).
Servire non è un’esperienza qualsiasi per un cristiano. Metterci a servizio degli altri, dedicarci gratuitamente alle persone, soprattutto alle più deboli, farlo per amore e con amore, non è per noi soltanto l’espressione di un cuore buono e generoso ma il segno che esprime la nostra amicizia con il Signore, la gioia di averlo incontrato e di vivere come lui. Ecco allora il significato di quanto viene raccontato nel Vangelo di questa domenica (Mc 1,29-39). Gesù va nella casa di Simone, viene informato che sua suocera è a letto con la febbre, le si avvicina, la fa alzare e la febbre la lascia. Racconta poi l’evangelista che questa donna si mise a servire. In poche parole ci da un ritratto del vero discepolo. Ci racconta che chi incontra il Maestro e lo segue è uno che prima si è lasciato mettere in piedi da lui – letteralmente viene usato lo stesso verbo che indica la risurrezione di Gesù –, ha ricevuto forza dalla sua mano per alzarsi e affrontare la morte (e la vita!), per vivere pienamente e poi mette se stesso e le sue energie a disposizione del Signore e degli altri. Come la suocera di Simone il credente è una persona che ha incontrato il Signore, è stato guarito da lui e con slancio di cuore, grato per quanto ricevuto, pensa agli altri, alle loro necessità, a ciò che è il loro bene.
Da discepoli anche noi siamo chiamati a servire. Seguiamo il Signore quando ci spendiamo per gli altri con amore, quando ci facciamo cibo per chi ha fame, pane spezzato e vino versato come Gesù nell’ultima cena. Siamo tra coloro che seguono il Maestro quando doniamo noi stessi alle persone concrete e non a un’ideologia o a degli schemi preconfezionati, alla buona immagine di noi stessi, alla paura di essere criticati o alla paura di chi ha la voce più grossa della nostra. Siamo come la suocera di Simone quando ascoltiamo i bisogni della comunità e con quel poco che siamo e abbiamo e con tanto silenzio non restiamo a guardare ma ci mettiamo a disposizione dove c’è più bisogno, lasciando al Signore di agire piuttosto che al nostro protagonismo. Siamo servi se riconosciamo che siamo in piedi non perché noi siamo forti e bravi ma perché è passato Gesù, si è interessato di noi, ci ha guardati, presi per mano e sollevati. Fatichiamo a servire, perché è difficile e chiede un cuore grande? Perché non riconoscere che anche questa fa parte della legge dell’amore, quella stessa che il Signore ha vissuto e vive con noi? Non riusciamo a servire gli altri? Perché non ammettere che ci siamo dimenticati del passaggio del Signore a casa nostra oppure che teniamo chiusa la porta d’ingresso e non gli permettiamo di tornare a prendersi cura di noi, guarirci e metterci in piedi? Il discepolo, colui che desidera servire gli altri come il Signore, non può pensare di poterlo fare da solo e soltanto in forza di qualche vecchio ricordo: per vivere così oggi ha bisogno anzitutto di lasciarsi incontrare da lui, permettergli di farsi vicino.
Lasciamoci tutti attrarre dalla possibilità di seguire il Signore sulla via dell’amore che si fa servizio a tempo pieno ma riconosciamo costantemente che soltanto se gli permettiamo di essere lui il primo che viene a servirci potremmo seguirlo su questa stessa via. Quando sentiamo di non avere forze per amare davvero ma anche quando ci sentiamo pieni di amore non dimentichiamo che siamo anche degli ammalati che hanno bisogno del suo passaggio e ripetiamo con fede la preghiera di Giobbe ascoltata nella prima lettura (Gb 7,1-4.6-7).
– don Silvano, Casa Sant’Andrea