Un eccomi che matura (Mc 8,27-35)
Se la memoria non mi inganna, era tra il 1996 e il 1997, quando mons. Ireneo Daniele si è aggravato; è rimasto alcuni mesi confinato in stanza, con noi seminaristi che gli facevamo assistenza; poi è passato all’Opera della Provvidenza. Un giorno don Giuseppe Zanon, che era rettore, ha condiviso con noi questa riflessione: più di sessant’anni fa don Ireneo ha detto «Eccomi», quando è entrato in Seminario; poi ha ripetuto il suo «sì, lo voglio» il giorno dell’ordinazione; ora il Signore Gesù lo chiama di nuovo, nella malattia, a confermare la sua disponibilità a seguirlo.
Se ho capito bene quel pensiero, voleva dire che lasciare la propria autosufficienza, la propria libertà di movimento e di scelta è una nuova chiamata a rimettere tutta la vita nelle mani di Dio. Immagino che nella storia di ogni vocazione ci siano dei momenti così, in cui ti è chiesto di ripetere il tuo sì, di confermarlo anche se le circostanze sono cambiate – anzi, proprio perché le circostanze sono cambiate. Penso, per fare un altro esempio, ad una moglie a cui si ammala il marito, a dei figli che si ritrovano i genitori anziani da accudire… Hai già rinunciato a tutto per lui/lei/loro; ora è come se la vita ti mettesse alla prova, per saggiare la profondità della tua scelta.
Dietro a Gesù
Quel giorno a Cesarea di Filippo è capitato così anche per Pietro, per gli altri discepoli e per le folle. A livelli diversi, ma tutti avevano lasciato qualcosa per seguire Gesù; Pietro e i discepoli avevano lasciato il lavoro e la famiglia, le folle avevano rinunciato almeno ad un po’ di tempo per stare con Gesù. Fin qui, però, non era stato poi così difficile: nei primi otto capitoli del suo Vangelo, Marco mette insieme molti miracoli di Gesù, alcuni grandiosi; c’era anche chi lo criticava, ma le grandi folle erano con lui e i discepoli non lo lasciavano un momento. Poi arriva il tempo in cui il maestro comincia a parlare della sua passione, morte e risurrezione. Certo, c’è anche la risurrezione; ma a Pietro il discorso non piace; prende Gesù in disparte e si mette a rimproverarlo. Il verbo “rimproverare” ci autorizza ad immaginare Pietro che si oppone alle parole di Gesù con durezza; senza mezzi termini gli dice che non è d’accordo con il suo itinerario verso la passione. E Gesù risponde con altrettanta durezza, però non in disparte ma davanti agli altri discepoli: «Va’ dietro a me, Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Per fortuna che la traduzione del 2008 ha cambiato quel «lungi da me, Satana» a cui eravamo abituati; rischiava di confonderci, perché in realtà Gesù non sta cacciando via Pietro, gli sta ricordando qual è il suo posto: «Va’ dietro a me». Lo chiama «Satana», perché sta facendo lo stesso gioco del tentatore: anche il diavolo vorrebbe che Gesù non andasse a Gerusalemme, perché quella morte sarà la salvezza. Ma le parole di Gesù, seppure ora pronunciate con durezza, sono le stesse che aveva detto a Pietro e a suo fratello Andrea quel giorno, lungo il lago, mentre stavano gettando le reti in mare: «Venite dietro a me» (Mc 1,17). Si tratta di decidere se seguire ancora Gesù, ora che la situazione è cambiata, ora che il futuro parla di morte; Pietro, sei disposto ancora a seguire il tuo maestro, come quel giorno lungo il lago? Sei disposto a lasciare i tuoi progetti (pensieri, immagini, sogni…) per stare con Gesù, fino al calvario?
Testimoni di fede
Questo vangelo parla molto a noi adulti, a noi comunità; ci provoca: siamo capaci di mostrare ai giovani che di Gesù ci si può fidare? Quando il percorso si fa duro e le scelte impegnative: siamo capaci di trasmettere la nostra fede? Di dire, con il Salmo: sì, continuo a camminare alla presenza del Signore, perché egli protegge i piccoli, è pietoso, giusto e misericordioso e di lui mi fido ancora. Lo amo e non ho paura che si capisca. Potrebbe essere una bella testimonianza vocazionale.
don Carlo Broccardo,
docente di Sacra Scrittura
e direttore dell’Ufficio diocesano
per l’annuncio e la catechesi