“Pietro si alzò, corse” (Lc 24, 12)
«È vivo. Non è qui» (Lc 24,5-6) dicono due uomini in abito sfolgorante alle donne che vanno al sepolcro al mattino presto con gli oli preparati per ungere il corpo del Signore Gesù. Questa notizia ha una forza particolare nei loro confronti e, a cascata, nei confronti dell’apostolo Pietro: mette in movimento le donne verso il luogo dove sono radunati gli undici e altri ma soprattutto mette in movimento Pietro che nonostante i dubbi di alcuni si alza e corre al sepolcro per poi tornare di nuovo tra i suoi, pieno di stupore per aver trovato soltanto dei teli.
«È vivo. Non è qui» è una notizia che ha la pretesa di mettere in movimento anche ciascuno di noi e questa nostra Chiesa. Diciamocelo con franchezza: per diversi motivi si respira una certa aria di stanchezza dentro questo nostro mondo e tra di noi. Alle pesantezze personali si aggiungono le continue incertezze in cui tutti siamo coinvolti: prima la crisi economica, poi la pandemia, ora la guerra. È come se ricevessimo delle ripetute botte alle gambe nel momento in cui ci stiamo per risollevare, desiderosi di camminare o correre verso la vita. Oggi viene tolta un’altra certezza, ma non è una botta sulle gambe, bensì come se fossero tolti dei legacci. Viene meno la certezza che ci fa credere al non-senso e ci fa cadere nella tristezza e nella paura, la morte. Cristo vince questo tremendo limite e apre un varco sull’eternità per tutti noi e come Pietro possiamo riprendere il cammino, metterci a correre, lasciarci prendere il cuore dalla speranza e aprirci al futuro. Il mondo non sta andando verso un precipizio: la Chiesa non è destinata a finire. Tutto è nelle mani del Signore. Il mondo e la Chiesa, però, chiedono a Pietro e a noi di alzarci e andare, di correre, forti della certezza che il Signore è vivo.
“Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova” (1Cor 5,7) ci ha detto San Paolo nella seconda lettura. Sono parole con cui il Signore ci chiama a una vita nuova. Il riferimento è alla tradizione presente nei primi secoli e ancora oggi tra gli ebrei nel preparare la cena pasquale, con un gioco che coinvolge i bambini nei preparativi di festa. Una volta non c’erano i lieviti che usiamo oggi ma solo il lievito madre e dovendo preparare del pane nuovo per la cena pasquale bisognava essere attenti che del pane vecchio non intaccasse la pasta del nuovo e quindi venisse proprio tolto dalla casa e buttato via. Così noi, se vogliamo davvero aprirci al futuro, affrontando gli ostacoli della vita con speranza e portando con gioia la croce, dobbiamo cercare, trovare e buttare via il lievito vecchio, quello che finora ha caratterizzato il nostro modo di pensare e di agire, quello che ci fa andare incontro al futuro come se fosse un appuntamento con la morte piuttosto che con la vita…
Penso in particolare a due atteggiamenti che coltiviamo e sento particolarmente diffusi oggi.
Anzitutto credo dobbiamo gettare il lievito della nostalgia del passato, dei tempi andati, di quello che siamo stati: per aprirci al futuro siamo chiamati a ricordare le promesse del Signore e le sue fedeltà piuttosto che coccolare i ricordi di ciò che siamo stati, di ciò che eravamo.
Poi c’è un altro lievito: quello del risentimento, della rabbia per le attese che non si sono realizzate e vediamo non realizzarsi, per le aspettative fuori misura, per le pretese indebite nei nostri confronti, delle persone vicine, della comunità, pena il vivere sotto il peso della tristezza e di una tristezza che sentiamo doveroso stringere, come il solo appiglio che dà senso alla vita ma che ci porta soltanto ad essere duri gli uni con gli altri.
Correre, aprirci al domani, andare verso la vita. Ecco lo slancio del Signore, il “Vivente”, ed ecco la novità di chi è suo discepolo. Possiamo lasciare andare il lievito dell’uomo vecchio per fare posto al nuovo e, con umiltà ma certi della fedeltà di Dio, affrontare il tremendo quotidiano e le continue novità che rendono incerto il cammino. La certezza che il Signore ha vinto la morte è l’unica necessaria per vivere davvero!
– don Silvano, Casa Sant’Andrea