«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1)
Nel mezzo di una calda estate, in un tempo in cui sentiamo l’esigenza di allentare gli impegni e le attività, ci viene consegnata dalla parola di Dio l’esperienza della preghiera. Questa proposta assume quasi i contorni del paradosso: la stanchezza, il desiderio di calma e pace, il bisogno di ricarica interiore non trovano risposta semplicemente nella inattività ma in attività capaci di raggiungere la parte più profonda di noi. La preghiera è un’attività e peraltro impegnativa ma capace di nutrire e dare energia alla vita, di ristorare l’intera persona e di portare beneficio ad altri.
«Insegnaci a pregare» (Lc 11,1) chiedono i discepoli a Gesù. D’altra parte la preghiera non è un’arte innata ma un dono da scoprire, da imparare, nella fatica dell’apprendere ma soprattutto nella fiducia di chi si lascia accompagnare. Ed ecco che nelle parole di Gesù subito si fa chiaro che quanto va imparato non è una serie di formule ma una relazione, un rapporto: la preghiera chiede di vivere la propria dignità di figli abitando nella casa del Padre, di stare con Dio fidandosi di lui, accogliendo ogni suo dono e abbandonandosi alla sua cura. “Con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti” (Col 2,12) scrive l’apostolo Paolo: in Gesù siamo figli di Dio e con libertà e fiducia possiamo vivere questa speciale relazione di intimità e responsabilità chiamandolo col nome di “Padre”.
Anche Gesù prega e forse è perché i discepoli se ne accorgono e ne vedono i frutti che lo interpellano su questo aspetto. Per altri versi, tuttavia, i Vangeli sembrano avvolgere nel silenzio la sua vita di preghiera, svelando solo alcune occasioni e contenuti. Troviamo qui, forse, il motivo per cui finora il Maestro non ha ancora insegnato ai discepoli a pregare. Per Gesù la sua stessa vita è preghiera e chi sta con lui ha la possibilità di comprendere che essa non è fatta anzitutto di momenti a se stanti, di pause lungo la giornata ma di una spontanea e vitale ricerca di Dio, di un costante e libero stare alla sua presenza, di un abituale abitare il proprio cuore che apre alla comunione con il Padre e tutti i suoi figli, sentendo come proprie le sue gioie, le sue preoccupazioni e i suoi desideri.
Talvolta sottolineiamo come la preghiera corra il rischio di ripiegarsi su di se, portandoci più a chiedere che non a ringraziare o lodare il Signore. Non c’è dubbio che sia vero ma non è da svalutare il chiedere qualcosa a Dio se è inserito in una relazione con lui. D’altra parte se non chiediamo a Dio a cui cui tutto è possibile con chi farlo? È altrettanto vero, tuttavia, che la preghiera imparata da Gesù non chiude il cuore all’egoismo ma lo apre alla gratuità e all’amore verso gli altri. Ed ecco che scopriamo il valore di una particolare preghiera di richiesta qual è la preghiera di intercessione espressa in modo straordinario da Abramo nella prima lettura. L’Abramo della prima lettura non è solo avanti negli anni ma un credente il cui rapporto con Dio è stato liberato da pretese, attese e immagini distorte e ora si esprime nella franchezza e spontaneità ma soprattutto nella sintonia di intenti. Come Dio, Abramo ha ora a cuore non solo se stesso ma tanti, tutti, anche gli abitanti di Sodoma e per loro prega, quasi giocando a contrattare con lui. E questa è la preghiera a cui anche noi possiamo accedere, passo passo, una preghiera costante e fiduciosa, una preghiera gratuita e attenta agli altri, alle loro necessità, misericordiosa, una preghiera che ha a cuore quanto sta a cuore al Signore.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea