La Voce oggi
In che momento della vita bisogna mettersi ad ascoltare la voce di Dio? Il salmo ce lo ha detto più volte: «Ascoltate “oggi” la voce del Signore». Ecco una dimensione essenziale della vocazione: a chi si mette in ascolto, la voce di Dio parla ogni giorno. «Oggi»! Dio chiama ogni giorno e da quella voce quotidiana pian piano prende forma un progetto di vita per il chiamato.
Il salmo indica due “luoghi” di ascolto: la preghiera comunitaria e la propria coscienza. Il testo infatti è un invito a prendere posto nella liturgia comunitaria – è un salmo invitatorio che preghiamo all’inizio della Liturgia delle Ore. Il pregare insieme è il modo per riconoscere Dio come roccia, per rendergli grazie, per gioire e adorarlo; è la preghiera in cui professare che è Lui il nostro Dio, il pastore che conduce il suo popolo – sono espressioni del salmo. Come nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto, così ogni giorno nei luoghi e nei tempi della vita Dio ci conduce.
Il secondo luogo di ascolto è la coscienza a cui il salmista propone un esame esigente: «Ascolto la sua voce? Oppure indurisco il cuore pur avendo già visto e gustato la presenza di Dio e le sue opere?». Dio ci parla in coscienza quando ascoltiamo i fatti della vita (eventi, incontri, intuizioni, esperienze) leggendoli alla luce della Parola di Dio, riconoscendoli così se sono o non sono «opere» sue.
Ridare vitalità
Possiamo immaginare che sia stato proprio questo ascolto quotidiano, durante il viaggio missionario con San Paolo, ad far scoprire a Timòteo la fede in Gesù e far chiedere di diventare discepolo di Cristo, cioè cristiano. San Paolo, nella seconda lettura, chiama Timòteo «figlio mio» come sentendo di aver donato qualcosa di sé, come un padre e una madre verso il proprio figlio. Questo dono, «bene prezioso», è il dono della fede. Nella prima lettera, infatti, lo chiama «vero figlio mio nella fede» (1Tm 1,2). È lo stesso dono che i discepoli chiedono nel vangelo: «Accresci in noi la fede!».
Dono di Dio, inoltre, è per Timòteo il dono del ministero presbiterale, cioè dell’essere guida della comunità. Timòteo, infatti, è responsabile della comunità dei cristiani di Efeso e San Paolo lo invita a ravvivare questo dono.
Ravvivare significa ridare vita, ridare vitalità, vivacità. Ravvivare un dono significa non tanto riportarlo alla bellezza del passato, ma permettere che questo dono esprima la sua bellezza migliore maturata nel tempo fino a questo momento. Non è un’operazione di restauro archeologico, ma di rinnovamento. San Paolo infatti sembra indicare che il sintomo di un dono smorto è lo «spirito di timidezza» inteso qui come tiepidezza, fiacchezza, abitudinarietà, monotonia. Al contrario, la vitalità del dono ha tre indicatori: la forza, la capacità di amare e la capacità di scegliere bene: «Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza» (2Tm 1,7).
Il mondo di oggi direbbe che una vocazione o una persona si realizza non tanto in forza, carità e prudenza, ma in piacere, successo e popolarità. C’è il rischio, anche per noi, di valutare così la risposta alla chiamata di Dio. Se nella mia vita non c’è piacere, successo e popolarità, allora ho sbagliato strada. No! Domandiamoci se nella nostra vita ci sono forza, capacità di amare e capacità di scegliere bene. Se ci sono, allora significa che stiamo rispondendo bene alla chiamata di Dio.
Declinare il Dono di Dio
In questa domenica in cui sosteniamo il Seminario, possiamo concludere declinando l’espressione “dono di Dio”.
«Dono di Dio» è l’essere prete: il carisma del pastore, ciò che cresce a partire dal rito dell’imposizione delle mani, frutto dello Spirito, e che san Paolo invita Timòteo a ravvivare.
«Dono di Dio» è il prete per una comunità: uomo che continuamente si lascia plasmare da Gesù e dal suo Vangelo e guida altri in questa arte, segreto della vita piena.
«Dono di Dio» è il Seminario: luogo testimone di una lunga storia spirituale e culturale che ha dato fisionomia alla nostra Diocesi e forma oggi alla vita delle nostre parrocchie.
«Dono di Dio» sono i seminaristi: giovani che coraggiosamente danno fiducia a quella intuizione di seguire Gesù donando la propria vita, le proprie energie e le proprie capacità alla Chiesa, al mondo, alla gente.
«Dono di Dio» sono i seminaristi: comunità di giovani credenti che ricordano a tutti la preziosità di dedicare del tempo per scoprire e per vivere la propria vocazione, ciò che Dio desidera per la vita di ciascuno di noi.
– don Mattia Francescon