“Potete servire Dio”. (Mt 6,24)
Servire e servire il Signore: ecco cosa significa quell’amore che già domenica scorsa Gesù ci ha chiamato a vivere; ecco la maturità umana e spirituale che possiamo esprimere.
Servire non ha niente a che vedere col mettere sotto i piedi la propria dignità, piuttosto significa valorizzarla al meglio: noi realizziamo noi stessi, i nostri doni, le nostre intuizioni e capacità quando le spendiamo con gli altri e per gli altri, nella gratuità, nella generosità. Servire significa mettere sullo sfondo noi stessi, i nostri diritti, e in primo piano l’altro, la comunità, il bene comune ed è uno dei segni più grandi della nostra libertà se è frutto di una scelta consapevole, intelligente e allo stesso tempo semplice e gioiosa. Certo: significa un po’ perdersi, come l’olio che per bruciare deve ardere, come la farfalla che per aprire le ali deve lasciar il bozzolo, come l’aquilotto che per volare deve affrontare il burrone e lasciare il nido, ma questa è la realizzazione più grande della nostra umanità. Come Gesù che ha amato servendo, fino alla fine.
Ma come può un giovane scegliere questa maturità? Come può scegliere di farsi servo alla maniera di Gesù? L’amore non si improvvisa: lo si accoglie sin da piccoli, dalle persone che si fanno strumento del Signore, lo si ammira in tante persone con il cuore libero, lo si impara provando giorno per giorno ad aprirsi agli altri nel nome di Gesù, mollando via via la presa su ciò che temiamo di perdere. “Non preoccupatevi”, ci dice oggi Gesù, ed ecco la strada per imparare ad amare: preoccuparci meno di noi stessi e mettere le nostre energie nell’amore, certi che a noi stessi pensa già il Signore. Il Signore non ci dimentica mai: si ricorda costantemente di noi. Ecco la certezza che come un blocco di partenza può farci lasciare il divano per andare verso la nostra famiglia, la comunità, i poveri che abitano nelle periferie della nostra vita e farci semplicemente servi.
Don Silvano, Casa Sant’Andrea