“Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” (Mc 9,37)
Per due domeniche di seguito, il Signore ci ha parlato della sua morte e risurrezione e per due domeniche i discepoli hanno fatto una brutta figura: domenica scorsa Pietro, che dopo avere detto un’espressione di fede bellissima, si è preso del “satana” per non volere un Messia che va in croce e oggi tutto il gruppo, che mentre Gesù parla della sua Pasqua discute sul potere che si potrà ricavare dalla sua gloria.
In entrambi i casi emerge tutta la difficoltà di Pietro e dei dodici di stare con il vero Signore, con il vero Gesù e non con le immagini che si sono fatti di lui e del Messia atteso da Israele. Nella loro testa e nel loro cuore coltivano l’immagine di un Gesù diverso da quello con cui camminano, diverso da quello che vedono e ascoltano. Egli si mostra umile ed essi lo vogliono potente: egli si mostra amico dei più deboli e degli ultimi e loro lo pensano come il primo dei grandi; egli manifesta la predilezione di Dio per i peccatori e loro coltivano la pretesa di essere giusti. È come se l’esperienza che fanno di Gesù non li toccasse nel profondo, non li provocasse nell’intimo, non li mettese in movimento: come se camminassero con Gesù, ma su una strada parallela, a distanza.
Forse è presente anche in noi questo atteggiamento, in noi come singole persone, alla maniera di Pietro domenica scorsa o in noi come gruppo, come comunità, come Chiesa, alla maniera dei discepoli oggi. Quante volte avvertiamo tensione tra i nostri modi di vedere le cose e quello di Cristo, quante volte ammorbidiamo la radicalità del Vangelo mettendo sulla bocca di Gesù le nostre parole, i nostri schemi. Quante volte come Chiesa e comunità siamo lontani da lui, coltivando discorsi e scelte che nulla hanno a che fare con il Vangelo o che mascheriamo di Vangelo: quanto “si è sempre fatto così” accompagna le nostre scelte pastorali, le prese di posizione, il rapporto tra chi frequenta la Parrocchia e quello con chi non la frequenta, il rapporto con il territorio dove si abita e con le persone che lo abitano.
Ed ecco la proposta di Gesù, l’unica capace di farcelo incontrare davvero e di farci vivere il Vangelo nella sua radicalità: accogliere. “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me” ci dice Gesù e così ci svela che la porta di accesso alla fede che può salvare è l’accoglienza sincera delle persone, un’accoglienza povera, priva di pregiudizi e chiusure, aperta al dono di sé, un’accoglienza da vivere con tutti e anche con lui. Gesù ci interpella ad accoglierlo per quello che è, nella nudità della Parola che ha pronunciato, dei gesti che ha fatto, dei segni che ha compiuto, nella nudità della sua morte e risurrezione, senza costruzioni artificiose, con un cuore povero e libero.
Diamoci il diritto di stare con Gesù e di vivere di una fede vera e non per sentito dire o già preconfezionata. Diamoci il tempo per frequentare la sua Parola, la comunità cristiana, i poveri, e lasciamo che la sua grazia ci converta al vero volto di Dio, sgretolando un po’ alla volta le nostre rigidità e aprendoci all’incontro con il vero Signore.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea