Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna» (Gv 8.10).
Parlare di qualcuno e parlare con qualcuno sono due cose molto diverse. A volte è molto più facile parlare degli altri che fermarsi a dialogare con loro e dedicare del tempo, lasciando spazio all’incontro. Il “parlare di” mette a debita sicurezza, permette di essere meno coinvolti, di trattare l’altro più come un caso che come una persona.
Mi sembra capiti anche questo agli scribi e ai farisei del Vangelo di questa domenica. La scena raccontata dall’evangelista Giovanni ci fa incontrare loro insieme a una donna e Gesù: sono tutti molto vicini, ma sembra non ci sia un vero dialogo, tanto meno un incontro. Gli scribi e i farisei parlano di una donna, ma non parlano con lei che è presente: l’hanno afferrata e portata al Tempio, senza riconoscerle alcuna libertà. Parlano con Gesù, ma non di sé stessi e di lui, bensì della donna. Solo Gesù sembra dialogare davvero e in modo rispettoso, con gli scribi e i farisei e anche con la donna. Tace, si china, scrive per terra, si alza e parla. Parla con tutti i presenti, con i gesti e con la parola e li chiama a un confronto autentico, personale, concreto, permettendo a ciascuno di maturare uno sguardo diverso sul peccato, sulla Legge e sulla dignità propria e altrui. Egli parla con la donna di cui tanti avevano parlato, ma con cui nessuno aveva dialogato: in questo modo la pone realmente al centro e la tira fuori dal suo isolamento. «Donna!»: il Maestro si alza in piedi e le parla, riconosce la sua dignità, senza giudicarla, semplicemente amandola.
Gesù riconosce a ciascuno la sua dignità, alla donna, agli scribi e ai farisei e aiuta pure loro a scoprirla e sceglierla. Non fa finta di niente di fronte al loro peccato, ma coglie l’occasione per annunciare la bellezza della Legge e della dignità di ciascuno. La Legge non ha la funzione del giudizio, ma del servizio alla vita: non è contro l’uomo, ma a favore della sua libertà, a servizio della sua guarigione e del bene che può sprigionare dal suo cuore. Lo annuncia alla donna, chiusa nel silenzio della vergogna e dell’infedeltà, ma anche agli scribi e ai farisei, trincerati nella pretesa di essere giusti. Lo annuncia anche a noi, che scivoliamo nel giudizio, piuttosto che riconoscere noi stessi e gli altri un dono. I gesti e le parole di Gesù ci fanno scoprire persone amate da Dio e persone sempre amabili, anche quando sbagliamo. La sua parola interpella, fa entrare nella vita, tira fuori dall’isolamento in cui chiudiamo noi stessi e gli altri o in cui ci lasciamo rinchiudere e ci chiama fare altrettanto.
“Presta orecchio al grido del mondo” è lo slogan che accompagna la diocesi di Padova in questa Quaresima ed è anche in questa prospettiva che lo possiamo vivere. Nel mondo c’è una voce a cui dare ascolto, un grido che siamo chiamati a riconoscere, accogliere e valorizzare: è il grido di chi, come la donna del Vangelo, viene usato, fatto tacere, non amato, piuttosto che accompagnato alla vita, alla grazia, al cammino; è un grido che ci chiama ad alzarci in piedi e all’ascolto, all’incontro, all’accoglienza. È così anche la voce del Signore: parliamo tanto di lui, ma è con lui, anzitutto, che siamo chiamati a dialogare.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea