«Andate dunque». (Mt 28,19)
Dopo la sua risurrezione, Gesù va in cerca dei suoi, li incontra, parla con loro, ma a un certo punto li lascia, si allontana da loro e torna al Padre e da inizio a un tempo nuovo, quello in cui siamo immersi anche noi. Dalla sua ascensione in cielo, fino al giorno in cui il Padre lo vorrà, a noi non è dato di incontrare fisicamente il Signore Risorto: a Pentecoste ci dona il suo Spirito come presenza stabile, ma la sua presenza fisica non è più tra noi.
Non è del tutto facile accogliere questa novità che si Gesù si stacca dalla terra, lascia i suoi e noi. La diamo magari per assodata perché fa parte delle verità della nostra fede, ma se ci fermiamo qualche istante e la consideriamo in tutto il suo spessore avvertiamo anche il disagio e la fatica di accogliere una distanza. Gesù ci consegna delle parole che parlano di presenza, di una sua presenza che continuerà ancora nel tempo: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, ma interiormente forse non viviamo con serenità questo suo distacco. Ci piacerebbe poter toccare ancora le mani di Gesù,… sentire ancora il profumo dei suoi vestiti puliti, … ascoltare la sua sicura voce, le sue parole. Anche la sua compagnia ci farebbe molto piacere: sentiamo che con lui potremmo entrare anche nei luoghi più bui della nostra storia e della storia del mondo con maggior coraggio.
Questo mistero, tuttavia, non è solo capace di accendere la nostalgia nel cuore. Se glielo permettiamo, apre orizzonti di speranza. La salita al cielo di Gesù, parla anzitutto di una fiducia gratuita, nei confronti dei discepoli, ai quali affida l’annuncio del Vangelo, e nei confronti nostri. Andandosene dalla terra Gesù compie un grande atto di fiducia nei confronti della Chiesa e dell’intera umanità: si fida di noi, della nostra umanità e si affida a noi, alle nostre fragili capacità. Egli fa credito a noi, crede che saremo capaci di portare avanti quanto sperimentato con lui, che sapremo assuere gli impegni del Vangelo, riusciremo a custodire il bene che lui ci ha donato. La sua partenza parla di noi che ci troviamo tra le mani l’impegno di essere suoi testimoni sulla terra, segno di un Dio che non lascia il mondo ma rimane presente tra gli uomini. Ciò che celebriamo oggi, allora, è sì la salita al cielo di Gesù, ma anche la nostra autonomia… che non significa celebrare il nostro essere diventati dei battitori liberi, ora che il Signore si è allontanato da noi, ma anzitutto dire grazie al Signore che ripone grande fiducia in noi e ci fa responsabili della vita. Significa anche accettare come una dignità ed esigenza, il nostro ruolo di cristiani: essere Cristo dovunque ci troviamo. Gesù non h in Europa e nemmeno nel XX secolo. Egli è partito e lascia a noi questo compito.
Ora che Cristo ènei cieli, qui sulla terra c’è per ciascuno un posto da occupare con gratitudine, impegno e umiltà, vivendo la bella responsabilità del Vangelo. Qui, oggi, c’è un posto per ogni giovane della Chiesa di Padova, per quei giovani che sono chiamati a vivere da sabato prossimo il Sinodo dicoesano, un posto che soltanto loro, e nessun altro al loro posto, potranno occupare certi della fidcuia del Signore che sale al cielo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea