“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” (Gv 6,9)
La folla guarda attonita le ceste di pane che passano, mangia, rimangia, mangia ancora, si infila il pane nelle bisaccia, le riempie, avanza ancora, un boccone, due, lo stomaco scoppia, ne avanza ancora. Qualche istante di silenzio, poi il brusio diventa grido, la gente si alza, ora ha capito. No, non ha capito, ha capito il contrario. Gesù, con quel gesto, dice: “Davanti alla difficoltà, anche se non hai le forze, mettiti in gioco, dona quel poco che hai e diventerà un miracolo di condivisione”. La folla, invece, ha capito: “Gesù ci dona da mangiare, abbiamo finito di tribolare”. L’esatto contrario. Per Gesù il centro di quanto accaduto è la generosità di un ragazzo che ha dato la sua merenda, che gli ha consegnato con fiducia tutto ciò che aveva.
Sappiamo della richiesta fatta agli apostoli e della loro risposta realistica e disincantata: Filippo che annota che ci vorrebbero duecento denari (l’equivalente di duecento giornate di lavoro!) per dare un misero pezzo di pane alle cinquemila famiglie presenti. Giovanni aggiunge un particolare: è un ragazzo che offre la sua merenda a Gesù per provocare il miracolo. Un adolescente generoso sente la richiesta di Gesù rivolta ai discepoli e tira per la tunica il più vicino, Andrea, mostrandogli le cose che la madre previdente gli ha infilato nella sacca. Gesù sorride: quando capiremo noi adulti che Dio ha bisogno della beata incoscienza degli adolescenti? Davide non fu scelto re quando ancora faceva il pastorello? E Maria la madre non fu chiamata nell’età del fidanzamento, quando aveva tredici o quattordici anni?
Anche noi come la folla a volte sbagliamo bersaglio, nella vita. Diciamo che è concretezza, realismo, e invece a volte questa è solo una giustificazione che copre la nostra incapacità di sognare. Di fronte a una folla immensa che ha fame la merenda di un ragazzo è poca cosa. Eppure da questo poco è nato qualcosa di grande. Questo è il centro del racconto. Poca cosa, ma se donata con amore e messa nelle mani del Signore può diventare un dono per tanti, può cambiare la storia. Smettiamola di recitare le litanie delle nostre fragilità e delle nostre incapacità di fronte alle tragedie del mondo, piantiamola di inanellare pessimistiche analisi sul destino del mondo e della Chiesa, finiamola di gufare quando vediamo il paese crescere e magari pochi ragazzi o famiglie in parrocchia! Dio ha bisogno della nostra merenda per sfamare il mondo. Non è sufficiente, ovvio. Ciò che manca, però, lo mette il cuore di Dio. Come oggi Gesù trasforma la merenda di questo ragazzo in abbondanza, così se noi mettiamo nelle sue mani ciò che siamo, i nostri talenti, il nostro tempo, le nostre energie, egli fa grandi cose. Dio è fatto così: non interviene al posto nostro, ma chiede la nostra collaborazione; non si sostituisce a noi, ma esige che ci mettiamo in gioco, che diamo del nostro.
Davanti alla tristezza e alla devastazione del nostro mondo, Dio si manifesta il più equilibrato e il più logico di tutti, chiedendoci di intervenire. Lasciamoci provocare da questo sogno, facciamolo nostro: diamo libertà anche ai nostri sogni e mettiamo quello che siamo nelle mani del Signore: allora cambierà al vita delle nostre famiglie, della parrocchia, della Chiesa e del mondo. Allora cambieranno anche i meccanismi perversi dell’economia, della politica, del mondo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea