«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» – Seconda domenica di Pasqua, anno B

«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21).

Cercare per inviare. In genere si cerca per poi prendere, raccogliere, custodire. Non così il Signore, da quanto ci viene annunciato oggi nel Vangelo. Dopo la tragica esperienza della passione e della morte vissuta nel quasi totale abbandono dei discepoli, Gesù Risorto torna nei luoghi abituali per cercare gli undici e in modo sorprendente entra proprio nel luogo dove sono radunati. La sua visita, tuttavia, non è per fare un sonoro richiamo e nemmeno per prendersi una pausa in loro compagnia, bensì per un invio. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Entra portando i doni della pace e dello Spirito e manda i suoi discepoli dentro a quel mondo dove il Padre aveva inviato lui. Egli vuole che i discepoli portino la sua presenza all’umanità, facciano dono dello shalom, annuncino l’amore del Padre e introducano altri nella vita di Dio. Il Signore Gesù va da discepoli per amore ma anche perché desidera farli risorgere dalla loro paura, dal peccato e dalla morte: desidera che tutti, anche Tommaso, vadano nel mondo da persone nuove. Ecco il modo in cui manifesta loro il suo amore.

Forti del suo Spirito i discepoli escono allo scoperto, affrontano la vita da credenti, da altri “Cristo”, da altri unti e inviati di Dio. Ce ne danno testimonianza la prima e seconda lettura di oggi. La risurrezione dona ai discepoli di riconoscere e vivere la propria dignità di figli di Dio e il coraggio della testimonianza con dei tratti molto precisi. Dalla Pasqua nasce una comunità unita, dove le diversità di doni e carismi vengono guardate con stima, accolte e valorizzate; una comunità attenta ai bisognosi, tanto che tutti coloro che possiedono dei beni li condividono; una comunità che porta fuori di casa il Vangelo e lo racconta nella città; una comunità capace di fare scelte secondo i comandamenti e non secondo la mentalità del mondo. Cercati e inviati i discepoli escono dal luogo dove sono rimasti a porte chiuse ed entrano nella vita da cristiani.

Scopriamo così uno dei tratti della maturità della fede. È adesso che i discepoli sono dei credenti maturi, ora che sanno staccarsi dal Signore e andare nel mondo anche senza averlo fisicamente a fianco. La maturità della fede non consiste nel cercare o stringere momenti di intimità con Gesù ma nell’uscire incontro alla vita e agli altri portando la sua pace, il suo Vangelo. “Come il Padre ha mandato il Figlio… così il Figlio manda noi”: siamo davvero maturi se come Cristo si è lasciato inviare nel mondo dal Padre anche noi ci lasciamo inviare da lui in quel mondo dove già abitiamo ma nel quale siamo ora presenti da creature nuove.  Siamo credenti maturi non solo perché amiamo frequentare la chiesa, prenderci cura della comunità e della formazione cristiana ma anche perché andiamo da credenti, con coraggio e umiltà, nel mondo, perché amiamo stare fuori, tra la gente, nell’ambiente di lavoro, nella politica, tra gli amici e i parenti, e lì vivere il Vangelo che ci ha toccato e fatti nuovi.

Il Risorto viene anche tra noi oggi. Conosce le nostre infedeltà e tiepidezze, le paure che ci fanno stare lontani da lui e dalla croce, come pure dalla vita comunitaria e dai problemi del mondo e viene a cercarci, a cercare ognuno dei suoi discepoli, anche quel Tommaso che c’è tra noi e dentro di noi. Viene per dirci il suo amore ma soprattutto per darci quell’amore che è il suo stesso Spirito e così fare di noi quei risorti che portano la sua presenza nel mondo.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea

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