“Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,2).
Perché la malattia?
Perché la morte?
Perché siamo così vulnerabili, incerti, fragili?
Perché non finisce questa pandemia?
Perché, Dio? Perché tutto questo?
Sono molte le domande che accompagnano i nostri pensieri in questo tempo.
Le risposte che abbiamo, però, sembrano essere poche e molto deboli
e questo genera ancora altre domande
che siamo tentati di abbandonare per non stare male ulteriormente,
per non correre il rischio di perdere il filo di speranza che abbiamo ancora
o non dover fare i conti con la nostra poca fede o con una fede chiamata a cambiare.
Il Natale che viviamo può essere la risposta alle nostre domande
o, comunque, alla domanda più seria di tutte.
La risposta che viene data alle nostre incertezze, alle nostre paure, è un bambino.
“Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1-2),
ascoltiamo oggi nella seconda lettura.
Sono parole che portano il nostro sguardo verso Gesù, verso il bambino di Betlemme:
è lui la risposta che Dio offre all’umanità in questo tempo.
Egli risponde alle nostre domande venendo ad “abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14),
di venire oggi a condividere tutto ciò che appartiene al nostro mondo, alla nostra vita.
Dio ha visto le “rovine di Gerusalemme” (Is 52,9) e le nostre,
come annunciato da Isaia nella prima lettura,
e non è rimasto a guardare.
È venuto qui, ponendo una casa accanto alle nostre,
per condividere le paure di chi è ammalato,
le angosce dei genitori preoccupati per i figli e dei genitori preoccupati per i figli,
il dolore e la disperazione di chi ha perso un proprio caro,
la solitudine di chi deve affrontare da solo le battaglie quotidiane,
la sfiducia di chi ha perso il lavoro,
il vuoto di chi ha perso il senso della vita.
Avremmo voluto una risposta diversa? Avremmo voluto un intervento diverso da parte di Dio?
Probabilmente il cuore dice di sì,
sta cercando risposte risolutive, parole chiare e disarmanti, gesti forti da parte di Dio.
Ma Dio, anche questa volta, ha scelto questa semplice e umile via, la condivisione.
Da dentro questa nostra umanità, come casa accanto alle nostre,
Dio desidera rinnovarci, risvegliare il nostro cuore alla speranza, riportarlo alla luce.
Il bambino di Betlemme come ogni bambino piccolo ha la forza di scuoterci dai brutti pensieri,
di svegliare il cuore e accendere il sorriso, di farci sognare il domani, di farci amare la vita.
Il bambino di Betlemme ha una luce capace non solo si risvegliare un po’ di ottimismo,
ma di farci sperimentare l’affidabilità di Dio, la sua fedeltà al mondo che ha creato.
Gesù, è il Verbo di Dio che si fece carne (Gv 1,14), è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9),
e non per un momento, per qualche ora, per qualche giorno ma per sempre.
Venendo tra noi ci ha reso “figli di Dio” (Gv 1,12):
ecco la luce che niente e nessuno può toglierci.
Tante incertezze vengono sciolte da questa luce:
perché temere? Perché scappare dalla vita, dall’amore?
Siamo figli di Dio: non abbiamo nulla da temere;
siamo gli amati da Dio e nulla potrà mai separarci da lui,
neppure il dolore, la solitudine, la tristezza,
la morte nostra o delle persone care o di chiunque altro nel mondo.
Dio abita in una casa accanto alla nostra e dalla storia della Salvezza sappiamo che non ama starsene isolato:
forse sta bussando alla nostra porta, desideroso di entrare nella nostra casa;
forse sta aspettando che noi usciamo di casa e, con mascherina, gel igienizzante e discrezione
andiamo a suonare il campanello della sua casa,
il campanello di un vicino che non vediamo da tempo, una famiglia che sappiamo aver perso il lavoro,
una famiglia che non vediamo da tempo in chiesa o in comunità.
Andando a fargli visita probabilmente ci racconterà di sé, ci ferirà con le sue domande su questo tempo
e noi, che cosa risponderemo?
Potremo stare con lui nel silenzio
e poi dire la gioia di averlo tra noi, la gioia di essere figli di Dio,
la voglia di abitare il mondo insieme a lui lì dove lui desidera farci abitare.
Buon Natale!
– don Silvano, Casa Sant’Andrea