Elisabetta esclamò a gran voce” (Lc 1,42).
Gridare, in genere, non fa parte del nostro modo solito di comunicare. Gridiamo quando dobbiamo parlarci a distanza, quando facciamo il tifo nello sport oppure quando siamo molto arrabbiati, ma nelle relazioni ordinarie il grido lo sentiamo fuori luogo, una mancanza di rispetto, un’invasione di campo. Tanto più nella liturgia: chi si sognerebbe di gridare durante una celebrazione? Quando qualcuno alla Messa va un po’ fuori dalle righe, subito c’è chi si infastidisce e si crea un clima di disappunto. Eppure, oggi il Signore ci parla bene del grido, ce lo presenta come un modo di comunicare, addirittura come un modo di pregare. “Elisabetta esclamò a gran voce”, dice la traduzione del Vangelo che abbiamo proclamato e già si coglie lo spessore del suo gesto. Ma ancora più interessante diventa il suo atteggiamento se prendiamo il testo alla lettera. In greco si dice che, al vedere Maria, Elisabetta ha esclamato con un grido grande (kraughé megále). Forse è un vizio di famiglia? Giovanni Battista che griderà nel deserto, forse ha imparato a farlo da sua madre?
Il gridare di Elisabetta è espressione di una di una grande sorpresa e gioia. Elisabetta è contenta per la visita della sua giovane parente, ma le parole che lei pronuncia ci portano ad una gioia ancora più profonda che non la può lasciare indifferente o contenuta e tutta a modo, una gioia che non può trattenere. Elisabetta ha compreso che dinanzi a lei vi è il compimento delle promesse fatte al suo popolo, delle attese sue e di Israele. Non l’ha capito da sola, ma grazie al dono dello Spirito, ci dice l’evangelista, quello Spirito che l’ha colmata, riempita, afferrata e ora la scuote tutta e la fa gridare. Dentro di lei, il piccolo Giovanni ha saltellato e lei ha compreso la grandezza dell’incontro con Maria. Quale accoglienza ha riservato Elisabetta alla cugina venuta da lontano. Maria saluta, ma con discrezione, tanto che il Vangelo non riporta delle parole, ma l’anziana parente, colei che ci aspetteremmo affaticata dalla gravidanza e ferma in un angolo, grida, parla a gran voce manifestando la sua fede nel Signore, esprimendo la gratitudine per la presenza del Salvatore e per il sì di Maria al suo progetto.
Ecco con quale atteggiamento la Chiesa si avvicina al Natale. Come Elisabetta la Chiesa oggi grida per la gioia e lo stupore di quanto sta vivendo. La Parola del Signore, come il piccolo Giovanni, saltella nel grembo della Chiesa e la fa cantare di gioia per la venuta del Salvatore. Il canto esploderà nella Messa del Natale, ma ogni liturgia è celebrazione festosa del Signore che viene e porta a compimento ogni attesa presente in noi.
Mi chiedo, però, se sono al passo in questi giorni con quanto la liturgia ci chiama a vivere, se sono contento per la presenza del Signore, per il suo Natale, per la sua venuta tra noi. Dietro la nostra compostezza, cosa c’è, davvero? Vi è la scelta di essere moderati nei gesti e nelle parole o, piuttosto, la tiepidezza, la disillusione, l’indifferenza per una presenza che non è poi così significativa? Forse il grembo di Maria, carico della presenza di Dio, non ci sorprende più, forse non lo riteniamo così fondamentale?! Eppure, dentro Maria c’è il nostro futuro, c’è la Parola che ci salva e apre l’orizzonte al nostro cammino.
Viviamo in verità questi giorni, lasciando allo Spirito che abita in noi di esprimersi, di afferrarci il cuore per la venuta del Salvatore e farci gridare di gioia!
– don Silvano, Casa Sant’Andrea