“Il Figlio imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza” (cf. Eb 5,8-9)
Il Signore ci dona in questa domenica l’immagine del seme per comprendere la sua identità e la nostra.
Come un seme gettato nel terreno, il Figlio di Dio è venuto in questo mondo, facendosi uno di noi nel grembo di Maria, dentro quelle zolle di terra che erano Betlemme e la Palestina. Come seme il Figlio di Dio ha vissuto tra noi e si è lasciato uccidere e seppellire ed è, poi, germogliato a vita nuova, prendendo nuovo vigore il terzo giorno dopo la sua morte e sepoltura, entrando così nella vita che non ha fine.
Come lui anche noi siamo dei semi gettati nella terra. Grazie al Battesimo la vicenda pasquale di Gesù è diventata la nostra: con lui siamo morti, con lui siamo stati sepolti nell’acqua morendo al vecchio uomo e risorgendo alla vita nuova. Come un seme germogliato e cresciuto anche noi ora siamo steli protesi verso il cielo che giorno dopo giorno cercano di crescere, maturare e portare frutto.
L’immagine scelta da Gesù la comprendiamo ulteriormente se ci lasciamo accompagnare da alcune parole usate dell’apostolo Paolo della seconda lettura: “Il Figlio imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza” (cf. Eb 5,8-9). La vicenda del seme è una vicenda di obbedienza. Lasciarsi seminare nella terra, vivere la durezza del nascondimento, morire a sé stessi e fidarsi completamente di Dio, è una vicenda di obbedienza: tale è stata per Gesù e così può essere per noi. Ad un primo momento l’obbedienza non sembra presagire niente di buono: è una parola che sembra di altri tempi e, solo a pronunciarla, sembra far nascere tristezza. In realtà, guardando il Signore, noi ne scopriamo una profonda bellezza, riconosciamo che in essa c’è il fascino di una promessa di vita. Come un seme, Cristo, obbedendo alla croce, ha raggiunto la risurrezione, divenendo causa di salvezza anche per noi. Ecco il frutto della sua obbedienza, del suo farsi seme. Nel suo nome, anche noi siamo chiamati a vivere alla maniera del seme. Non abbiamo nulla da temere dall’obbedienza, dal lasciarci “seminare”: Cristo è risorto e noi riavremo vita piena con lui se impariamo l’obbedienza, ossia sperimenteremo la sua salvezza.
“Obbedienza” è un termine che deriva dal latino “ob-audire” e potremmo tradurre con “avvicinarsi per ascoltare bene, per comprendere e vivere ciò che ci viene detto”. Ecco l’obbedire di Cristo: un ascolto fiducioso, pienamente disponibile, attento e fattivo della voce del Padre che lo chiama in ogni istante ad amare fino alla fine, a donare la propria vita, senza temere di perderla. Ed ecco la nostra obbedienza: ascoltare di domenica in domenica, giorno dopo giorno, in ogni momento, ciò che il Padre ci dice, quella Parola che pronuncia, anche nella Scrittura, proprio per noi. Il Padre pronuncia un eterno invito ad amare, a donare noi stessi, a lasciarci gettare come seme nella terra e noi, certi della sua presenza e provvidenza, sappiamo che soltanto in questo modo possiamo portare frutto.
Gesù “imparò l’obbedienza” e anche noi siamo chiamati ad impararla. Chissà quale obbedienza ci è chiesta oggi dalla vita e dal Dio della vita, quale parola Dio pronuncia per noi e ci chiama ad ascoltare avvicinando con fiducia il nostro orecchio alla sua bocca…
– don Silvano, Casa Sant’Andrea