“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19.
Oggi Cristo sale al cielo. È il mistero di un distacco, ma anche di fiducia data agli apostoli e a noi. Come negli apostoli, forse anche in noi nasce il timore, la paura, l’incertezza… il sentirci inadeguati di fronte al compito di vivere “da soli” la novità del Vangelo. Anche in noi, però, può farsi strada la certezza che questo è un mistero di fiducia, di un Gesù risorto che si affida a noi, pur conoscendo bene le nostre fragilità, la nostra incostanza, le nostre paure. Non è un’esperienza facile da vivere questo distacco, come non lo è nessun distacco. Tuttavia, sentiamo che abbiamo tra le mani un dono grande, che il Signore ci affida una grande occasione di responsabilità. Nasce così nel nostro cuore la riconoscenza, il grazie… che può diventare preghiera nell’Eucaristia di questa domenica: Grazie, Signore, che ti fidi di me. Tra noi non è sempre facile regalarsi fiducia, soprattutto se commettiamo degli errori. Tu, invece, no, ci consenti di ripartire, e anche oggi ti fidi di noi e ti affidi a noi!
Sì, l’ascensione di Gesù è un’esperienza di fiducia, ma da vivere in che modo?
- San Paolo, nella seconda lettura di oggi (Ef 4,1-13), elenca diverse vocazioni nella Chiesa, diversi percorsi disegnati nel cuore di Dio per ciascuno e con cui siamo chiamati a metterci a servizio della Chiesa: alcuni apostoli, altri profeti, altri evangelisti, altri pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo. Ed ecco allora qual è la fiducia che noi siamo chiamati a esprimere, ossia la nostra vocazione: è questo il modo in cui siamo chiamati a vivere la fiducia che Cristo ci da, il suo mandato ad andare nel mondo e annunciare il Vangelo. Chiediamoci, allora: vivo nella consapevolezza che il Signore mi ha affidato una missione nel mondo oppure mi lascio andare alla vita con leggerezza, senza un progetto? Cerco di comprendere e vivere sempre più in profondità la mia chiamata?
- Nella prima lettura (At 1,1-11) e nel Vangelo (Mc 16,15-20), poi, ci accorgiamo che Cristo invia nel mondo gli undici tutti insieme: certo ne manca uno, ma non li manda individualmente o prendendoli da parte separatamente. Gli undici non sono inviati da battitori liberi e la storia, poi, ci racconta che agiscono proprio come un solo corpo, con una sola fede, in forza di un solo battesimo. Tra di loro abita la comunione, il sentirsi legati a un unico Signore: sono una comunità che si muove insieme, che vive già dentro se stessa l’incontro, prima ancora di incontrare gli altri; sono discepoli che cercano di accettare le diversità e tentano di amarsi di vero cuore, che cercano tutte le vie possibili per superare le divisioni interne. Come loro anche a noi è chiesta la comunione e ci accorgiamo bene di come sia difficile viverla: quante divisioni lungo i secoli tra i cristiani; quante rotture tra i cristiani oggi; quanti sguardi rifiutati o densi di rabbia, di rancore, anche tra di noi che partecipiamo allo stesso Pane?! Facciamo, allora, un sincera verifica del nostro stile. Chiediamoci dinanzi al Signore: io cerco la comunione? Io favorisco la divisione o l’unità vera? Quali i passi di comunione che io posso fare perché questa mia comunità possa annunciare con la sua testimonianza prima che con le opere?
Cristo oggi sale al cielo, si stacca fisicamente da noi, in segno di fiducia e come invito forte alla testimonianza. Ma sappiamo bene, egli è ancora tra noi, con il suo Spirito, che ci accompagna sempre e che quando celebriamo i Sacramenti entra con forza nella vita del mondo. Forti di questa presenza, allora, prendiamo in mano la fiducia che Cristo ci da: viviamo attivamente la nostra fede, realizzando con gratitudine e in comunione con gli altri la nostra missione.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea