“Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarlo a due a due” (Mc 6,7).
I dodici, i discepoli che Gesù ha chiamato a condividere più da vicino la sua missione, oggi non li vediamo insieme con lui, ma sparsi in Israele. Guardandoli da vicino vediamo che sono poveri, miti, annunciano la venuta del Regno di Dio, portano la consolazione ai malati e ai peccatori, vanno a due a due e non da solitari. Sono gli stessi tratti di Gesù, del suo stile, del suo essere Messia. Non è una imitazione che hanno scelto loro: sono come Gesù ha chiesto loro di essere. Viene da chiederci qual è il senso del suo comando. Come mai li ha inviati e inviati in questo modo?
Per scoprirlo dobbiamo fare un passo indietro e ritornare al Vangelo di domenica. Quando Gesù ha fatto ritorno al suo paese di origine, non è stato del tutto accolto: non ha potuto annunciare il Regno e portare guarigione ai malati e ai peccatori, perché i suoi paesani non hanno riconosciuto nella sua persona il Messia, il Figlio di Dio, ma soltanto uno di loro, il figlio di Giuseppe e Maria che da ragazzo correva per il paese, il giovane che a un certo punto era andato via. Questa loro tiepidezza è la stessa dei Dodici: nessuno di loro ha preso la parola, nessuno di loro ha detto qualcosa che esprimesse un po’ di fede e di apertura nei confronti del Signore. Come i paesani, anche i Dodici faticano a riconoscere in Gesù, nell’umanissimo e semplice Gesù, il Messia atteso, la presenza di Dio venuto a salvarli.
Ed ecco l’invio, un’esperienza di annuncio, perché il Vangelo va portato dovunque con urgenza, ma anche un’esperienza educativa, un’esperienza che Gesù sceglie per lavorare il cuore dei Dodici e convertirli allo stile di Dio. Vivendo da poveri, da persone, miti, camminando insieme, possono sperimentare la potenza di Dio e riconoscere che il Regno avanza non per la loro bravura, non grazie agli effetti speciali, ma facendosi semplici strumenti di Dio, lasciando a lui il protagonismo, lasciando alla Parola di correre, al Vangelo di agire. Questa conversione li renderà degli apostoli, dei missionari, ma ancor prima dei credenti, credenti in Gesù, Messia non perché agisce con effetti speciali, ma Figlio di Dio che viene in umiltà e permette alla Parola del Padre di agire.
Anche noi abbiamo bisogno di lasciarci educare da Gesù, di lasciarci convertire al suo vero volto che non è quello di un Messia che viene con potenza e onore, ma in semplicità. Anche noi abbiamo bisogno di imparare il suo stile, ad abitare il mondo da cristiani senza usare alcun potere o violenza, lasciando alla Parola di agire e di trasformarlo. Ascoltiamo, allora, l’invito del Signore a partire, ad andare di di città in villaggio a predicare: entriamo nel suo nome nella vita, negli ambienti del lavoro, della scuola, della città o del paese in cui viviamo, nelle nostre relazioni. Entriamoci con il suo stile, così da sperimentare che se il Regno crescerà non sarà per merito nostro, ma per la forza della sua Parola che agisce se noi accettiamo di essere piccoli, umili, fraterni, miti, come Gesù, come il profeta Amos (cf. prima lettura), semplice mandriano e agricoltore, che si è fatto strumento perché la Parola del Signore potesse giungere al suo popolo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea