“Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo” (Gv 2,25).
“Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo”, annota l’evangelista Giovanni al termine dell’episodio avvenuto nel Tempio e questa sua nota vale anche per noi. Ciascuno di noi è conosciuto da Gesù sin nella parte più intima. Chissà se ci sentiamo a nostro agio a saperci conosciuti da lui, se ci fa piacere sapere che lui è così intimo a noi stessi da sapere come stiamo, da intendere i nostri pensieri, da capire le nostre paure, da riconoscere il nostro vissuto più profondo o se ci sentiamo in imbarazzo, invasi da una presenza che non vorremmo entrasse dentro casa nostra. Sta di fatto che questa affermazione è inserita nel Vangelo e chiede di essere accolta come buona notizia per la nostra vita.
“Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo” è una buona notizia per noi.
Dentro il nostro cuore abitano tanti sentimenti e pensieri, anche contrastanti: vi stanno assieme il piacere di stare alla presenza di Dio e la pretesa di essere completamente distinti da lui, la gioia di seguire Gesù e la paura della croce, lo stupore per il mistero che ci abita e l’indifferenza per la vita interiore. In questo intreccio la parola ascoltata ci offre la possibilità di fidarci e di affidarci al Signore, di consegnare noi stessi a lui, di mettere nelle sue mani la nostra persona perché sia lui a mostrarci com’è davvero, di cosa siamo fatti, qual è la nostra verità. Potrebbe essere questo il modo in cui ascoltiamo la Scrittura nella liturgia e personalmente: non solo un tempo in cui ascoltiamo dei fatti che riguardano il Signore, i discepoli o le altre persone che incontra, bensì un lasciare che queste vicende ci coinvolgano, così da permettere alla parola di svelare chi siamo, di farci comprendere chi siamo e chi possiamo diventare. Gli atteggiamenti di Gesù, quelli dei discepoli, quelli degli altri protagonisti delle letture oppure anche le semplici frasi di un brano, cosa fanno vivere di me? Cosa mi irrita di quanto ascolto e come mai? Cosa mi consola e mi affascina? Anche così posso arrivare alla mia verità: il confronto con la Parola apre anche questa possibilità.
“Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo” è Vangelo per noi.
Aldilà dei doni e dei limiti che la parola ci fa scoprire, dentro anche alle ferite con cui ci fa prendere contatto, la certezza che Gesù ci conosce è una promessa di poterlo trovare presente nel nostro intimo, nascosto nelle stanze della nostra persona. Dice un antico adagio di un padre della Chiesa che nel giorno del Battesimo lo Spirito ha preso dimora dentro di noi ed è andato a prendere posto nella nostra zona più nascosta, tanto che potremmo correre il rischio di non accorgerci della sua presenza. Nello Spirito Dio è presente in noi e questa è la verità più profonda che ci abita: lui, la sua persona, il suo modo di sentire e di pensare, il suo modo di stare nel mondo insieme agli altri. Ecco la verità più grande che siamo: nel nostro intimo abita il Signore, nel nostro intimo vi è la sua presenza, come forza di continuo rinnovamento, che apre ad un amore sincero verso il Padre e verso i fratelli. “Tu mi scruti e mi conosci” diciamo al Signore con il Salmo 138 e mentre lui entra nella mia interiorità vi trova la sua stessa presenza, dono che ci offre la più alta dignità.
“Gesù conosceva quello che c’è nell’uomo”, ossia che in ogni uomo abita anche lui che, come presenza discreta, ma efficace, agisce. Apriamoci con fiducia piena a questa presenza che è in noi non per toglierci qualcosa, ma per darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Egli è l’amore di cui abbiamo da sempre bisogno, la gioia che ci apre alla vita, la forza che ci incoraggia a donare noi stessi.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea