“Gesù venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare” (Mt 3,13)
Ancora immersi nella luce del Natale, oggi incontriamo Gesù ormai grande, trentenne, che si immerge nelle acque del Giordano e si fa battezzare. Mentre pensiamo al suo Battesimo probabilmente ci viene in mente il nostro Battesimo o il Battesimo di qualche nostro famigliare. Il modo con cui noi abbiamo ricevuto il Battesimo, tuttavia, o con cui lo si celebra normalmente, tradisce un po’ il senso letterale della parola “battesimo” che significa “immersione”. Per immersione è stato il Battesimo ricevuto da Gesù e così lo si è celebrato per molti nei secoli nella Chiesa, tanto da essere stato ripreso dopo il Concilio Vaticano II.
L’immersione è un’esperienza che coinvolge tutta la persona: l’acqua tocca il corpo interamente. Con l’immersione il corpo scompare completamente alla vista degli occhi e il suo riemergere lo riporta alla luce. Immergendosi si deve smettere di respirare per poi riprendere appena si riemerge. Ed ecco la ricchezza di significati di questo gesto. Non si tratta solo di un bagno che pulisce e purifica e nemmeno soltanto di un gesto con cui ci si impegna a cambiare vita, ma un’esperienza che cambia interiormente. Con il Battesimo di Gesù, l’immersione nell’acqua acquista un significato nuovo. La grazia di Dio entra nella persona e la trasforma: lo Spirito entra nella vita della persona e la rende figlia di Dio; Dio dona lo Spirito Santo che rende capaci di vivere come il Figlio Gesù e se l’uomo accetta la paternità di Dio, la sua grazia lo aiuta a vivere da persona nuova, da cristiano, ossia parte del corpo stesso di Cristo.
L’immersione nell’acqua del Battesimo è un Sacramento che tutti abbiamo ricevuto, ma che continuamente siamo chiamati a vivere. Si tratta di coltivare continuamente la nostra relazione con Dio vivendo da figli, ossia un rapporto di comunione, di profonda intimità, ma anche di fede e condivisione del suo stile. In altre parole, si tratta di “nuotare” in Dio, di vivere in lui. Ed ecco, allora, l’opportunità che abbiamo in questa domenica che chiude il tempo di Natale. Oggi possiamo rinnovare la nostra adesione al Signore per poi tradurla nel quotidiano. Chiediamoci, perciò: riesco a immergermi in esperienze che mi aiutano ad essere figlio di Dio oppure mi immergo soprattutto in esperienze che mi spogliano di questa dignità? Mi tuffo in esperienze che lavorano il mio cuore oppure le evito, preferendo altre che non mi chiedono la fatica di cambiare, che non mi mettono in discussione, che mi lasciano come sono? Mi tuffo nelle relazioni, nelle responsabilità, nella preghiera, nella vita della Chiesa con fiducia e sano protagonismo?
Immergersi nell’acqua non è immediato per tutti… C’è chi ha paura dell’acqua e comunque tutti per immergersi dobbiamo prima spogliarci e poi fare un atto di fiducia. Così è nella vita spirituale. Per vivere da figli di Dio è necessario spogliarsi interiormente e fidarsi. Le parole che il Padre ha detto di Gesù, però, sappiamo che le ha dette anche per ciascuno di noi: siamo i suoi figli amati, siamo i figli in cui lui ha posto il suo compiacimento. Possiamo immergerci in Dio, allora, e ripetere ogni giorno questo atto di fiducioso abbandono.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea