Santa famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria, anno B
“Il bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui” (Lc 2,40).
Un po’ come capita quando andiamo a trovare un bambino appena nato, così i nostri occhi sono stati rapiti in questi giorni anzitutto dalla luce del piccolo Gesù. Oggi, però, lo sguardo si allarga a una realtà più ampia, quella della sua famiglia e così vediamo lui ma insieme a Giuseppe e Maria.
Vediamo una famiglia particolare dove le storie di ciascuno dei protagonisti hanno a che fare con la voce di Dio, con una sua chiamata. Maria è qui, giovane sposa e mamma, perché un angelo del Signore le ha chiesto di diventare la Madre del Figlio suo e lei ha risposto il suo “eccomi”. Giuseppe è qui perché ha affrontato i suoi dubbi e le sue incertezze sapientemente, ascoltando nella notte la voce di un angelo. Gesù, è la Parola stessa di Dio che si è fatta carne e, ascolteremo più avanti, un inviato stesso del Padre. Questa famiglia è un intreccio di vocazioni, di parola di Dio ascoltata e vissuta, una risposta al Signore che desidera con loro portare luce all’umanità intera. Ecco cos’è la famiglia, cos’è l’unione tra un uomo e una donna nel Matrimonio: un sì alla parola di Dio, alla sua chiamata, a lui che desidera benedire un uomo e una donna e rendere la loro vita insieme benedizione per molti, per i figli e per l’intera società. Insieme alla Chiesa oggi possiamo annunciare ad ogni famiglia, ad ogni giovane coppia che la vita insieme non è solo il frutto di una scelta autonoma o risposta a un sentimento del cuore ma accoglienza di una proposta di Dio che chiama a realizzare se stessi, la Chiesa e il mondo in questo particolare modo. Lo possiamo dire anche ad ogni giovane, ai giovani che cercano l’amore, a quelli che lo temono e temono le responsabilità di una vita di famiglia: fare famiglia è un dono del Signore, una vocazione da ascoltare e verificare con lui. Sei chiamato ora dal Signore a fare famiglia? Sei chiamato a realizzarla con questo uomo, con questa donna? Quale famiglia sei chiamato a realizzare?
Mentre siamo alla presenza della famiglia di Nazaret di tanto in tanto il nostro sguardo ritorna a Gesù. I suoi movimenti, i suoi occhi, la sua bocca, il suo pianto,… tutto ci attira e ci fa sentire vivi. Non credo se ne diano a male i due genitori: non sembra essere nelle loro corde il desiderio di essere al centro delle attenzioni. Questo piccolo non è per loro ma per molti e loro son lì per lui. È chiara in questa coppia la dimensione del servizio alla vita, del servizio al regno di Dio. Come per Abramo, di cui ascoltiamo abbondantemente nelle letture di questo giorno, essi sono interessati al futuro e non solo al passato, a una fecondità che abbia un domani di bene e di vita, tanto che presentano Gesù al tempio, grati del dono ricevuto e liberi nel cuore per consegnarlo a Dio. Questa libertà del cuore è parte fondamentale della chiamata alla vita di famiglia, amore vero rispetto a tante forme di possesso e abuso, seppure sottile. I figli sono una possibilità data gratuitamente ad altre vite perché possano sperimentare come noi la gioia della creazione e della fede, una promessa di vita per il domani della Chiesa e del mondo, non una risposta ai bisogni della coppia o un riempimento delle loro incertezze. I figli non sono per i genitori, ma per il mondo.
Vediamo tanto futuro nella festa di oggi: ascoltiamo tanta promessa nei testi della Scrittura che la Chiesa ci consegna. C’è il domani nella vita di una famiglia e nella loro discendenza, un domani da costruire insieme giorno dopo giorno e da consegnare ad altri. Quanto hanno da dirci Maria e Giuseppe. Educano alla vita e alla fede Gesù ma a un certo punto smetteranno di guidarlo e si lasceranno guidare da lui, da maestri si faranno discepoli, avendo piena fiducia nella sua persona, nel dono che lui porta. Una prospettiva così sembra tanto difficile oggi nelle famiglie come pure nella società e nella Chiesa. Il nostro impegno educativo verso i giovani talvolta è debole, altalenante, preoccupato di ricevere compiacimento più che di formare alla libertà, all’amore, al dono di sé. Fatichiamo a dare responsabilità ai giovani e ad accettare di buon grado le conseguenze della fiducia data, con la pretesa di essere sempre noi a gestire a tutto. Parliamo tanto dei giovani ma fatichiamo a lasciare spazio a loro e a fidarci di quanto riescono a dire e a dare: siamo spesso malati di protagonismo per cui gli altri fanno sempre male rispetto a quello che noi potremmo fare al loro posto. Dare spazio, smettere i panni del maestro per farsi discepoli: anche questo è fare famiglia e, allo stesso tempo, fare comunità come vuole il Signore.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea