«Il mio Signore sei tu» (Sal 15,2).
Nel guardarci attorno mentre siamo a Messa o mentre ci troviamo a una riunione del Consiglio pastorale in parrocchia ci sarà capitato, soprattutto nell’ultimo periodo, di accorgerci che ci sono poche persone giovani o di mezza età e chiederci quale sarà il futuro della parrocchia, come dire, se domani ci sarà qualcuno dopo di noi. D’altra parte, ogni genitore ha a cuore il futuro della sua casa e dei suoi figli, così noi abbiamo a cuore la nostra comunità. Una domanda del genere, tuttavia, sebbene carica di buoni propositi potrebbe celare un pensiero non del tutto evangelico. Siamo davvero padri e madri della nostra comunità ma prima di noi lo è Dio: è lui il Padre che genera la comunità. Noi siamo chiamati a collaborar e con lui che continuamente genera la vita e crea futuro. Siamo parte della Chiesa che è madre e da la vita, ma non senza il Signore o, meglio, in una così profonda sintonia con lui che è comunione di intenti e piena disponibilità e obbedienza all’azione del suo Spirito.
In queste nostre riflessioni, talvolta segnate dalla sterile nostalgia del passato e aggrappate a quanto abbiamo fatto e realizzato, si inserisce la parola di Dio di questa domenica che risveglia il nostro desiderio di futuro e di generatività ma corregge anche il nostro sguardo, troppo spesso ripiegato su noi stessi e non aperto allo Spirito di Dio.
Per essere comunità generativa, il Signore ci annuncia che la strada da perseguire è quella dell’amare l’altro come se stessi e da una tonalità particolare questo amore, la libertà, quella stessa che abbiamo ricevuto nel battesimo quando siamo diventati una sola cosa con Cristo, la libertà dal potere della seduzione del male che vorrebbe portarci a divorarci a vicenda e distruggerci l’un l’altro piuttosto che amare e servire (cf. Gal 5,15). Una comunità diventa generativa se anzitutto ama con la stessa libertà di Dio, che dona senza riserve senza chiedere nulla in cambio, non ricatta ma lascia andare e se necessario perdona. Sono tanti i motivi per cui le nostre comunità si stanno riducendo di numero e forse uno di questi è anche la mancanza di amore di libertà reciproca, che non significa fare a meno di prendersi cura dei legami ma piuttosto avere il cuore del padre della madre che non trattengono a sé i propri figli e si preoccupano che possono camminare in autonomia. Quante volte ci accorgiamo di avere a cuore gli altri, non per amore sincero ma per un nostro tornaconto: quante volte gli altri sono manovalanza per raggiungere i nostri fini. Magari ci si circonda di persone e la comunità si fa più ampia e ricca di collaboratori ma appena si fanno chiari gli intenti le persone naturalmente sia allontanano e ci si accorge di non avere per nulla fatto crescere la vita.
Una comunità generativa è tale perché ascolta la voce di Dio, si fa attenta alla sua parola e conduce altri ad ascoltarlo e seguire da vicino chi lo pronuncia: questo è un altro risvolto della libertà dello Spirito. Nella prima lettura vediamo Elia compiere un gesto fortemente creativo. Lui che è profeta coinvolge in questa sua vocazione e missione un altro, Eliseo ( cf. 1Re 19,19), perché anche lui sia profeta e lo sia d’ora in poi anche al suo posto ma non è una sua elezione. Elia non sceglie questo giovane perché gli è simpatico, e sembra affidabile, gli pare che possa continuare bene la sua opera ma perché è la persona che Dio stesso gli ha indicato. Sceglie Eliseo perché ha ascoltato la parola di Dio che glielo ha indicato come colui che darà voce alla sua parola dopo di lui. Questa scelta è frutto di quello che chiamiamo discernimento che non è il semplice dar retto al buon senso o ai nostri calcoli, ma ascolto di Dio nel silenzio e nella preghiera, rendendosi conto delle necessità degli altri, liberi dalla pretesa di essere indispensabili e fiduciosi che anche gli altri possono fare del bene.
Ancora qualcosa ha da dirci la libertà che viene dallo Spirito nel nostro avere a cuore la comunità e il bene che il Signore desidera per essa ed è che siamo discepoli che vivono per lui e come lui. Nel Vangelo di oggi Gesù è chiaro: si dirige con “ferma decisione“ (Lc 9,51) verso Gerusalemme dove vivrà la sua Pasqua e la medesima fermezza la domanda quanti chiama servirlo o comunque vogliono fare il gruppo con lui. Comprendiamo così che la comunità cristiana altro non è che un insieme di quanti camminano con fermezza verso Gerusalemme sui passi di Gesù, ossia amano come lui e insieme a lui e donano se stessi fino alla fine. La comunità non è una nostra proprietà, appartiene al Signore e vive per lui. Al centro della comunità non ci sono le strutture, i beni, neppure il piacere di stare insieme ma il Signore amato e scelto: noi siamo comunità per amore di lui e perché gli altri lo possano conoscere, amare e seguire.
Le nostre comunità sono tali quando sono feconde, quando seguono il Signore e la sua parola, quando “si lasciano guidare dallo spirito“ (Gal 5,18). Chiediamo al Signore di camminare nella libertà del Vangelo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea