“Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala”
È meglio per te. Nel vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù lo ribadisce tre volte. Mi sono chiesto come mai senta il bisogno di ripeterlo. Evidentemente sta dicendo qualcosa che ritiene importante e vuole essere sicuro di essere compreso. Immagino Gesù che ai suoi discepoli dice per la terza volta: se questa cosa ti è motivo di scandalo tagliala, toglila, perché altrimenti non avrai ciò che è meglio per te, resterai fuori dalla vera vita. Come un buon maestro che vuole bene ai suoi allievi e ripete le cose perché possano capire.
Se ripenso alla mia storia personale devo ammettere che con me il Signore ha adottato proprio questa tecnica: ha ripetuto quando serviva, ha portato pazienza rispettando i miei tempi ma non si è mai stancato di insistere.
Ero alla fine delle medie, primi anni delle superiori quando il mio parroco e un giovane prete, forse perché mi vedevano bene tra i chierichetti, mi dicevano: “Davide, perché non entri in seminario?”. Così pure mia zia suora. Io pensavo che in fondo era normale che preti e suore invitassero a percorrere una certa strada, e così non ci davo tanto peso e andavo avanti per la mia. Ricordo anche una signora anziana che, quando mi vedeva a messa assieme a un amico, qualche volta mi diceva: “Prego tanto perché uno di voi due vada prete”, e mentre parlava io indicavo l’amico; poi giungemmo al compromesso che intanto avrebbe pregato per noi, che fa sempre bene, e poi si vedrà. La vita del prete mi sembrava anche bella ma erano altre le cose che mi interessavano. Continuo il liceo e l’università perché mi vedevo chiamato a una vita di coppia, una famiglia, dei figli, un bel lavoro da ingegnere. Ma ciclicamente il Signore mi ripresentava quella domanda. Finiscono gli studi, qualche mese prima era finita anche una relazione importante, il lavoro sembra non arrivare subito come avevo sempre immaginato e insomma il futuro si fa chiaro come una di quelle belle sere di novembre in cui oltre la nebbia vedi solo altra nebbia. È questo il momento in cui mi chiedo davvero cosa voglio fare della mia vita e per la prima volta inizio a considerare seriamente l’ipotesi sacerdozio. Se da un lato metto sul tavolo una possibile disponibilità, dall’altro cerco la sicurezza di una risposta certa: risposta che non arriva. E più non arriva più aumenta il desiderio che arrivi, tanto che ad un certo punto non capivo neanche più se le intuizioni che mi sembrava di cogliere erano vere o solo frutto del desiderio di trovare certezze. In questi mesi difficili è stato prezioso, davvero, l’accompagnamento di un sacerdote, che non mi ha risposto per me ma mi ha consigliato due atteggiamenti: pazienza e fiducia in quel Signore che fin lì mi aveva portato e avrebbe comunque continuato ad accompagnarmi.
Con pazienza e fiducia quindi vado avanti. Inizio a lavorare, prima con l’università e poi in un’azienda privata. Il lavoro era anche piacevole, interessante; tuttavia qualche sera, tornando a casa, mi chiedevo: “È davvero questo che voglio fare nella vita? È questo il mio posto?” Ero molto indeciso. Sentivo che il Signore era lì a mostrarmi quel meglio per me ma mi mancava il coraggio di tagliare quelle che erano state le mie vie per intraprenderne una nuova.
Parallelamente a tutto questo ho sempre portato avanti il mio servizio in parrocchia, come animatore e, negli anni, con altri ruoli. La parrocchia, il patronato erano la mia seconda casa: quando ero lì stavo bene, ero felice. Sempre più però sentivo che non mi bastava investire lì solo il mio tempo libero, ma che desideravo qualcosa di più.
Ecco che ad un certo punto mi ritrovo finalmente a sommare tutti questi aspetti e arrivo alla decisione di prendermi del tempo per valutare seriamente se la mia vocazione potesse essere davvero quella del prete. Mi licenzio ed entro a Casa S. Andrea, dove assieme ad altri 4 ragazzi, guidato da due sacerdoti, ho potuto con calma, per qualche mese, approfondire, pregare, capire un po’ di più e, infine, scegliere di entrare in Seminario maggiore. Questo discernimento è continuato anche nei primi due anni di Seminario, per valutare ancora più attentamente la mia vita di fede, i segni della chiamata, i passi fatti e i cantieri ancora aperti nella maturazione umana e spirituale.
Forse ascoltando questo vangelo a qualcuno di voi saranno venute in mente le tante parole che in questi ultimi mesi sono state dedicate alla Chiesa da giornali e tv, non per raccontare quanto bella è stata la Missione Giovani, ma per i pesanti scandali che hanno provocato tante dolorose ferite. Almeno a me sono venute in mente. Gesù oggi sembra avvisraci che c’è uno scandalo che forse ancora più grande perché può riguardare ciascuno di noi: quello di restare fuori dalla vita vera, come in panchina. Non vivere ma tirare avanti. Gesù ce lo ripete tre volte: è meglio per te entrare nella vita che buttarti via, finendo come l’immondizia nella valle della Geenna.
Sia per chi sta ancora cercando cosa fare della propria vita, sia per chi questa scelta l’ha già fatta tempo fa, e magari oggi si ritrova a fare i conti con qualche delusione, qualche fatica, ricordiamoci: c’è una vita piena che ci aspetta!
E anche non potete essere un pino sulla vetta del monte, siate un cespuglio nella valle, ma siate il miglior piccolo cespuglio sulla sponda del ruscello. Cercate ardentemente di scoprire a cosa siete chiamati e poi mettetevi a farlo con passione. Siate il meglio di qualunque cosa siate” perché Dio sogna il meglio per ciascuno di noi.
– Davide, seminarista