“Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” – XX domenica del tempo ordinario, anno A

“Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” (Mt 15,26).

Dare del “cane” a una persona non è certamente un complimento per quanto oggi i cani siano in genere animali ben accolti e coccolati se non addirittura viziati ed eccessivamente curati: si tratta di un termine duro, forte, un appellativo che non lascia trasparire accoglienza e stima. Nel brano evangelico di questa domenica anche Gesù pronuncia questo termine, chiamando “cagnolini” i non ebrei: non ce lo aspetteremmo proprio da lui un appellativo e una durezza di questo tipo. Gesù è sempre buono, sempre accogliente, sempre affabile, sempre disponibile: come può oggi avere questi tratti?

Gesù è il Figlio di Dio ma non possiamo dimenticare che è anche un figlio d’uomo: è questa una delle verità grandi della nostra fede. In quanto uomo lui porta in sé i tratti della propria cultura, della storia in cui è inserito, lo stile dei suoi contemporanei e, come gli ebrei del suo tempo, chiama “cani” tutti gli stranieri, tutti i non ebrei, un nome carico di disprezzo e rivalità, nella convinzione che Dio lungo la storia aveva fatto una preferenza, aveva scelto il popolo di Israele fra tutti i popoli e solo con lui aveva stretto un’Alleanza. C’è un passaggio, tuttavia, che cambia il modo di agire di Gesù e fa emergere pienamente lo stile di Dio: è l’incontro con la fede della donna Cananea, una fede che la fa sfidare il buon senso, le tradizioni, gli ostacoli posti dalla cultura e con coraggio la fa andare incontro allo straniero Gesù per chiedere a lui, Figlio di Davide, di avere pietà di lei e di sua figlia. Dinanzi alla fede di questa donna Gesù si ferma e manifesta che apre la sua missione a tutti, inizia ad annunciare la salvezza a ogni uomo e donna della terra.

A una prima impressione, la nostra cultura sembra lontana da quella di Gesù: nessuno di noi oserebbe dare del “cane” a qualcuno; a parlare così ci sentiremmo dei maleducati. In realtà non è così scontato che anche noi, che anche la nostra società faccia delle preferenze o addirittura coltivi diffidenze, innalzi steccati e divisioni, sia poco accogliente. Quante volte, anche noi cristiani, ci ritroviamo intrappolati dentro schemi rigidi che vedono nel diverso, nello straniero, in chi non la pensa come noi, in chi non ha la nostra stessa fede… un nemico, un cane da evitare e al quale dare al massimo qualche briciola dei nostri soldi. L’esperienza della fede, di quella fede che anche in noi chiama Gesù “Figlio di Davide”, ci chiede di lasciarci coinvolgere da un amore più grande, da un’accoglienza più gratuita e ampia. L’altro non è una categoria, un gruppo, un partito, una religione,… ma anzitutto una persona, un figlio di Dio, un fratello: l’altro, chiunque esso sia, è una persona che posso amare, una persona che, magari con rabbia e violenza,  chiede anche a me la libertà dal male, una persona a cui posso e devo annunciare la salvezza di Gesù. La fede nel Signore Gesù non lascia spazio a confini, non da precedenze se non agli ultimi e apre a un amore gratuito e generoso verso tutti, un amore che supera le distinzioni di popolo, cultura, sesso, età, religione, pensiero politico…

Umanamente è talvolta molto difficile riconoscere il valore dell’altro aldilà delle etichette di popolo, di cultura, di estrazione sociale: talvolta, poi, chi incontriamo è il primo a non accoglierci, a disprezzarci, a rifiutarci; nella fede, però, noi siamo chiamati a fare nostro un atteggiamento nuovo, fatto di dono gratuito e di autentica accoglienza, perché ogni uomo e donna della terra è fatto ad immagine e somiglianza di Dio e in ogni uomo e donna della terra, anche in chi non è cristiano, è presente un seme della vita divina. I tanti affamati di pane ma anche di giustizia, di libertà, di dignità, di affetto: che ci sono attorno a noi, sono anche loro oggi la donna Cananea che chiede salvezza per la propria figlia, persone che chiedono, anche a noi, un pane che sazi davvero. Ci sono i giovani, gli anziani, gli immigrati che arrivano a noi in diversi modi alla ricerca di un futuro migliore, ci sono tanti cristiani perseguitati per la fede, ci sono persone sole o senza fiducia nel futuro… Forse noi, così pure le nostre comunità, non abbiamo molto da condividere e siamo capaci di dare solo qualche briciola di interesse, tempo, ascolto, aiuto: quello che abbiamo però siamo chiamati a donarlo, nel nome di Dio, nel nome della fede che ci apre ad orizzonti larghi di fraternità.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea

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