«Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2)
La scorsa settimana è iniziata con almeno due notizie impegnative, la morte di una giovane missionaria laica in Perù, originaria di Schio (Vi), e la gambizzazione di un giovane missionario prossimo a diventare vescovo in Sud Sudan, originario di Piovene Rocchette (Vi). Sono episodi che purtroppo confermano quanto detto qualche mese fa da papa Francesco: «La Chiesa di oggi è ricca di martiri. Oggi ci sono più martiri che all’inizio della Chiesa, i martiri sono ovunque».
Oltre a chiedere la nostra preghiera, solidarietà e impegno queste esperienze rendono visibile la parola del Signore: «Ogni tralcio che porta frutto, (il Padre mio) lo pota perché porti più frutto» (Gv 15,2). Sono pagine dolorose per la vita delle persone coinvolte e per la comunità cristiana, certamente non volute da Dio ma che possiamo leggere in maniera sapienziale come promessa di nuovi frutti per la fede. La fede non matura e non si diffonde grazie a eventi speciali, al consenso del mondo, alla tranquillità ma grazie alla passione del Signore che come buon agricoltore pota la sua vigna e al dono fedele, impegnato, fiducioso dei credenti, che umilmente si spendono non lì dove stanno meglio ma dove c’è più bisogno di amore, di servizio, di annuncio evangelico. Non si tratta di andare in cerca di situazioni di rifiuto, pericolo e persecuzione – anche San Paolo (cfr At 9,26-31) di fronte al rifiuto dei contemporanei va in altri luoghi a predicare – piuttosto di cercare l’uomo che ha bisogno di amore e andare a lui senza timore, ascoltare il Signore che ci chiama attraverso il suo grido e lasciarsi inviare a lui certi di essere custoditi dal Padre.
Questo tempo, segnato anche da nuove persecuzioni e rifiuti e dalla diminuzione di partecipazione alla vita della Chiesa, fa sicuramente paura e intristire ma può anche essere letto come un’opportunità per diventare la Chiesa che desidera il Signore, con meno tralci e foglie e più frutti buoni, più essenziale, capace di abitare il mondo alla maniera del seme, del lievito, del sale – come direbbe Gesù con le sue parabole –, più simile a Gesù e quindi più radicata nel Padre, forte della sua fedeltà piuttosto che di se stessa. Questa svolta, tuttavia, ha bisogno che diventi sempre più familiare il verbo “rimanere” scelto da Gesù nella parabola di questa domenica. Anche in questo tempo una vita da credenti è frutto del rimanere nel Signore, certi che la linfa vitale viene da lui, da colui che per primo è rimasto fedele al Padre e all’uomo anche se rifiutato, anche se in pericolo, anche se in croce: è il suo amore che da il motivo e la forza per restare da credenti dentro alla vita. È del riferimento a Cristo, di un forte legame con lui che abbiamo bisogno per rimanere fedeli alle nostre responsabilità, ai nostri impegni, alle nostre relazioni, alla nostra vocazione, alla nostra fede, alla nostra comunità. Solo se rimaniamo nel Signore, se viviamo il rapporto vitale nato con lui nel giorno del Battesimo, troviamo i motivi e la forza per affrontare il quotidiano, le prove, i cambiamenti, le incomprensioni, gli imprevisti, i limiti, la fatica e la sofferenza: il nostro vivere allora avrà un senso, sarà appassionato, porterà frutto lì dove siamo.
All’inizio della primavera sui tralci potati affiora una goccia di linfa che luccica sulla punta del ramo. Quella goccia parla anche di noi e di Dio, del suo amore che sperimentiamo nella preghiera, nei Sacramenti, nell’ascolto della sua Parola: è di questo amore che abbiamo bisogno, anzitutto, se vogliamo vivere l’esperienza della fede e del fare Chiesa, in Perù e in Sud Sudan ma anche qui e così portare un abbondante frutto.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea