“Per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose” (Col 1,20)
In questo periodo, mi pare si stia facendo strada un equivoco tra i cristiani e non solo, con la pretesa di segnare un limite tra buoni e cattivi. Per alcuni, la Chiesa si sta occupando troppo degli ultimi, a scapito dei valori non negoziabili quali la fede, la vita e la morte.
Ritengo si tratti di un equivoco, appunto. Lo dico alla luce della Parola di questa domenica, in particolare del Vangelo. La parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37) ci parla della Legge, della Parola di Dio, come un amore che si fa concreto in ogni direzione, “verso Dio, verso il prossimo, verso sé stessi”, e che è totalizzante, ossia coinvolge “la mente, l’anima, il cuore e le forze”. È un amore che si fa attenzione all’altro, chiunque esso sia e chiede cambio di prospettiva, fino a dire che il “prossimo” non è solo l’altro che mi sta vicino, ma io che mi faccio vicino all’altro, soprattutto se fragile. L’amore che si fa carità, poi, è un amore che è chiamato a sgorgare dall’incontro con il Signore: il confronto, infatti, fatto da Gesù tra le varie persone che incontrano il malcapitato, ci fa notare che stanno scendendo da Gerusalemme, almeno il sacerdote. Gerusalemme è la città della politica e del commercio, ma è anzitutto la città del Tempio, il luogo dove abita Dio, dove il sacerdote e probabilmente anche lo scriba, avrà vissuto il servizio o un pellegrinaggio, ossia fatto esperienza di preghiera e di incontro con Dio. Sì, la carità verso gli altri è una chiamata di Dio, è Legge di Dio ed essa non è secondaria alla preghiera, alla fede, ad altri valori grandi: l’attenzione all’altro è una forma di carità e dono che emerge proprio dalla comunione con Dio, una necessità che sgorga dal cuore di chi lo incontra e crede in lui.
Questo cambio di prospettiva e di vita, Gesù ce lo ha raccontato con le parole, ma anche con le sue scelte concrete. Possiamo dire che è lui il buon samaritano del mondo. Nel tempo opportuno egli non è rimasto a guardare né ad aspettare l’umanità, ma piuttosto ha lasciato “Troni e Dominazioni, Principati e Potenze” per venire nel mondo e “riconciliare a sé tutte le cose” (cf. seconda lettura, Col 1,15-20). L’uomo nuovo, Gesù, non ha messo in contrapposizione il suo rapporto con Dio e quello con l’umanità scalcinata e peccatrice, piuttosto li ha coltivati entrambi, mettendo insieme preghiera e azione, fede e carità, attenzione per i vicini e per i lontani. Questa sua testimonianza ci chiede oggi di smetterla di porre al centro noi stessi e quelle opinioni che spesso feriscono la comunione nella Chiesa, per aprirci a ciò che sta fuori di noi, a Dio e all’altro, andando noi loro incontro, oltre i pregiudizi e le chiusure del cuore. Fare noi il primo passo verso gli altri, ossia scomodarci per andare verso chi ha bisogno, lasciare le nostre case, i nostri divani o lettini da mare per andare verso chi è nella necessità, con cuore che sa condividere, è un modo per vivere in comunione con Dio e realizzare l’umanità nuova inaugurata da Gesù.
Andiamo a Gerusalemme come il sacerdote della parabola e poi, forti dell’esperienza vissuta, sbilanciamoci verso gli altri, verso le insicurezze della carità. Se l’urgenza suona alla porta, non facciamoci timore a dare il primo posto alla carità verso l’altro piuttosto che alla preghiera, per poi tornare quando possibile all’incontro gratuito con Dio e affidargli l’amore condiviso: come direbbe San Vincenzo de Paoli, non sarebbe altro che “lasciare il Signore per il Signore”. E se non è possibile dedicarci alla preghiera perché l’altro ha necessità a cui non possiamo sottrarci, ricordiamoci, senza paura di equivoci, che il Signore è lì dov’è l’amore.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea