“Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9).
Chi si ferma è perduto… dice un motto di uso comune.
E riguarda la ricerca continua di migliorare, di fare di più e sempre meglio.
Se dentro di noi non ci fosse questo desiderio umano di continui obiettivi da raggiungere non saremmo ciò che siamo e non avremmo il benessere che abbiamo.
Allo stesso tempo questo motto mette bene in evidenza tutte le nostre pretese, nei confronti di noi stessi e degli altri: fatichiamo ad essere contenti di ciò che siamo e di ciò che abbiamo. Fatichiamo a stare dentro alla vita così com’è e la riempiamo di impegni che si accavallano uno sull’altro. Fatichiamo a stare fermi. Restando fermi sentiamo le nostre insoddisfazioni. Restando fermi ci accorgiamo del vuoto di tanto correre privo di sane motivazioni, di sani perché. Restando fermi ci sentiamo obbligati a vivere le relazioni, ad avere a che fare con le persone e le persone sono un’incognita. Stando fermi sentiamo che la nostra interiorità chiede di essere considerata. Eppure abbiamo bisogno di questo stare fermi. Ne ha bisogno il corpo, altrimenti non riprende mai le forze per poi essere pronto a dare. Ne ha bisogno il nostro impegno che altrimenti perde di creatività, di slancio. Ne hanno bisogno le nostre relazioni per vivere con fiducia e autonomia. Il vivere è sempre frutto di due movimenti, come il cuore umano, come i polmoni, come la natura: c’è la vita perché c’è il giorno e la notte, perché il cuore si stringe e poi si allarga, perché i polmoni inspirano e poi espirano.
Il Signore conosce bene questa nostra fatica e sa che essa ci coinvolge più profondamente di quanto pensiamo. La corsa e la smania di fare non riguardano soltanto le responsabilità quotidiane, ma soprattutto la nostra vita interiore. Cristo sa bene che è anzitutto dentro di noi che siamo di fretta, che siamo di corsa, che fatichiamo a sostare. Sa che preferiamo il fare allo stare fermi, il dare piuttosto che il ricevere, l’impegno piuttosto che l’amare… E per una seconda domenica ci ribadisce l’importanza del “rimanere”. Domenica scorsa ci chiedeva di stare uniti a lui come i tralci alla vita per portare frutto. Oggi addirittura ci comanda di rimanere in lui, di rimanere nell’amore. Sì. Rimanere è fondamentale, è vitale.
È il secondo movimento del cuore, il secondo movimento dei nostri polmoni, il secondo movimento della nostra natura. Se vogliamo vivere è necessario che rimaniamo nell’amore del Signore.
Rimanere nell’amore, ossia…
Avere il coraggio di fermarci, di frenare le nostre corse e fare i conti con quel senso di inutilità che ci prende quando stiamo fermi. È importante ascoltare quel senso di inutilità e chiederci: valgo perché faccio qualcosa? Sono amato perché produco? Sono importante perché realizzo delle cose grandi? E così accorgerci dei castelli di sabbia su cui stiamo costruendo la nostra vita. Fermarsi significa pregare e ciò non è anzitutto dire parole, ma stare alla presenza del Signore, mettersi alla sua presenza in verità. Fermarci significa stare ad ascoltare il Signore che abita in noi e ci ha scelti non per quello che facciamo, ma gratuitamente, da sempre: ci permette di sperimentare il suo amore grande e tremendo, un’acqua che sgorga per noi da sempre e continuamente e che ha portato Gesù a morire per noi. Fermarci ci permette di discernere ciò per cui vale la pena di correre e darci da fare, ciò per cui vale la pena spenderci.
Chi si ferma è perduto o è perduto chi non si ferma?
Si tratta piuttosto di stare fermi interiormente, di rimanere ben ancorati interiormente all’amore di Dio, al Signore, per non perdere la gioia della vita e condividerla con tutti. Ma per stare fermi interiormente, per vivere quel rimanere che Gesù ci ha addirittura ordinato, è necessario anche fermarci e stare gratuitamente con noi stessi, con gli altri e con lui!
– don Silvano, Casa Sant’Andrea