Posso, devo, voglio imparare ad essere padre
Notizie ben in vista sui media ci informano quasi quotidianamente circa abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi, ma anche più semplicemente e normalmente sui dati degli abbandoni della vita religiosa e il crollo numerico delle vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale. In queste notizie, questi eventi vengono spessi messi in correlazione con il fatto che “i preti non si possono sposare”, come se fosse questa, in fondo, la causa di tutti i mali.
Al di là della possibilità (molto discutibile) che una correlazione di questo tipo davvero ci sia, spesso, leggendo tutto questo, sorge una constatazione amara, che è anche una domanda legittima: che senso ha oggi proporre la castità come un valore, addirittura come una scelta attraente di vita? Sicuramente non gode di particolare popolarità di questi tempi, in una società fortemente “sessualizzata” come la nostra, e il più delle volte viene fraintesa. Si interpreta questa parola infatti in modo molto riduttivo: castità come semplice astinenza dai rapporti sessuali; castità come cosa riservata a preti e religiosi, sicuramente repressi, disturbati e/o ipocriti, perché “senza sesso non si può vivere”, e via con gli esempi di cui sopra.
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