«Seguimi!» (Gv 21,19).
«Seguimi!» (Gv 21,19). È un verbo che torna diverse volte nei Vangeli ma, sebbene declinato in modo diverso, anche in molte altre pagine della Bibbia. “Seguire”, “accompagnare stando dietro ai passi di un altro” è un’esperienza che domanda grande fiducia e disponibilità, un cuore libero da se stessi tanto da lasciarlo abitare da un altro. “Seguire” diventa possibile quando siamo coinvolti in una relazione profonda e così si seguono i genitori, i fratelli, un amico, una guida che percepiamo autorevole, credibile. “Seguire” fa parte della fede, della fiducia profonda e radicale riposta in Dio riconosciuto affidabile. Farsi discepoli è quanto viene chiesto da Gesù a Pietro dopo la sua Pasqua ma è pure quanto il Maestro chiede alla sua comunità di ieri e di oggi.
«Seguimi!» si sente dire Pietro da Gesù e poco prima si sente chiamare per nome da lui come già accaduto qualche anno prima e con il nome di “Simone”, proprio come in quella prima occasione, quando glielo cambiò in Cefa (cf. Gv 1,42). Nel chiamarlo con il nome originario e nel ripeterlo più volte, Gesù recupera la storia dell’apostolo, un percorso fatto di slanci ed entusiasmi ma anche, e in modo più evidente negli ultimi giorni, di fragilità e fallimento. «Non posso seguirti ora?» (Gv 13,37) aveva risposto Pietro a Gesù che gli aveva detto, prima della passione, «mi seguirai più tardi» (Gv 13,36) ma in realtà, proprio lui, poco dopo ha lasciato i passi del Maestro, lasciandolo solo dinanzi al sommo sacerdote e a Pilato, e negando per tre volte di conoscerlo (cf. Gv 18,17; 18,25; 18,27). Il ritorno a questo nome non significa che la prima chiamata sia venuta meno dopo questo rinnegamento ma che ora avviene una chiamata che vuole “comprendere” tutto Pietro, il vero Pietro, anche la sua debolezza. Non siamo più di fronte ad un discepolo dalla sequela senza incrinature: Pietro deve fare i conti con la presunzione dei suoi buoni propositi (cf. Gv 13,36-38), con la sua paura, la sua verità e, soprattutto, con quell’amore di Gesù che continua a raggiungerlo anche dentro le sue incoerenze, la sua fragilità. Solo ora potrà arrendersi a quell’amore che lo chiama una seconda volta ad amare nella stessa misura con cui è amato.
Dentro questa vicenda di fiducia rinnovata da parte di Gesù e di amore grande c’è anche il gruppo dei discepoli, una comunità incompleta, probabilmente spaesata e incerta, che vede alcuni tornare insieme a Pietro al vecchio mestiere, invece che lanciarsi nell’avventura dell’annuncio della risurrezione del Signore. Anche loro sono raggiunti dal Risorto che li chiama a una novità da vivere nella vita quotidiana. Tutti tornano a fare ciò che facevano prima perché in questo trovano un’identità sicura ma come nel loro “prima senza Gesù” c’era vuoto e infecondità – “non abbiamo preso nulla (Lc 5,5)” – così ora – “non presero nulla” (Gv 21,3). Non è solo questione di pesca andata male: si tratta di una identità infruttuosa perché il loro essere “pescatori” ora deve fare i conti con la parola di Gesù – “d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (cf. Lc 5,10) – e con la sua Pasqua. Cosa significa essere “pescatori di uomini” ora, dopo che Gesù è risorto? Qui sul crinale fra il “prima e senza Gesù” e il “dopo Gesù” si colloca una seconda chiamata per i discepoli. C’è un “dopo” che deve tornare a fare i conti con la quotidianità e nel quale i discepoli sembrano non sapere più chi sono: a questo i discepoli sono chiamati ora, una seconda volta, dal Signore Gesù. Il Risorto va loro incontro per chiamarli a una vita nuova dentro le solite cose di ogni giorno, dentro al realismo della vita.
In questa esperienza di Pietro e del resto di comunità degli apostoli, si colloca oggi la nostra chiamata. Il verbo “seguire” non è solo per alcuni, non va ascoltato una volta soltanto ma ogni giorno come una seconda chiamata, ossia una vocazione che faccia i conti con le nostre debolezze e fragilità e proprio da questa situazione faccia posto a Gesù non solo come Maestro affascinante ma il Signore. Cosa può significare per noi ascoltare la chiamata a seguire Gesù Risorto, ossia fare i conti un una fede illuminata da questa sua esperienza di eternità? Cosa può significare per me mettermi dietro i passi del Risorto da dentro la mia vita ordinaria e quotidiana sapendomi amato così come sono, anche debole e smarrito? Nel «Seguimi!» che Gesù ci rivolge può esserci la richiesta di una svolta, di una scelta definitiva, di un sì a una missione che in tanti modi stiamo cercando di sfuggire ma può anche esserci una chiamata a vivere da risorti la vita che già facciamo, quella quotidianità fatta di famiglia, scuola, lavoro, comunità, servizio, relazioni, malattia, dedizione, normalità, realtà che possiamo vivere mettendo noi davanti oppure seguendo il Maestro che è già lì e ci precede.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea