“Siate misericordiosi” (Lc 6,36)
Nemici, maledizioni, violenza, furti, condanne… Non sono riferimenti a quanto scoperto 30 anni fa con l’operazione “mani pulite”, come ci viene ricordato in questi giorni, ma alla triste realtà quotidiana, nella durezza più estrema e visibile raccontata dai media e nella dimensione spicciola e casalinga che sperimentiamo da vicino. Nelle famiglie, sul posto di lavoro come pure nelle comunità cristiane non mancano conflitti espliciti o sotterranei ma nemmeno rabbie più o meno esplicite verso gli altri, risentimenti che assumono i contorni della critica feroce, del chiacchiericcio o dell’abbandono. A tutti parla oggi il Vangelo, a noi, gente che ha tanto ma fatica ad essere contenta, gente arrabbiata, con un cuore incattivito e risentito che ha tanti diritti e pochi doveri, che vede gli errori altrui e si sente il diritto di giudicare, sentenziare o intervenire con durezza. A noi che ascoltiamo, oggi Gesù dice: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Quando veniamo punti sul vivo ci è immediato contrattaccare, voltarci indietro come un cane ferito: ci sentiamo il diritto di poterlo e doverlo fare. In quei momenti sembra impossibile vivere la mitezza, la pace, essere misericordiosi come il Padre. Proprio in quei momenti, tuttavia, se ci prendiamo un altro diritto, quello di aspettare, di scendere nella parte più profonda di noi stessi fino a scoprirci amati senza merito e senza misura da parte di Dio, può emergere l’uomo nuovo che abita in noi e affiorare l’amore più vero. Non si tratta solo di respirare con calma – che peraltro già può stemperare tante emozioni – ma di lasciarsi il tempo per tornare alla verità più vera di noi stessi. In Gesù, grazie al Battesimo, noi siamo i figli del Padre misericordioso e come lui possiamo vivere la carità: come non sentire che i suoi tratti sono incisi in noi nella parte più profonda e più vera e che soltanto avendo misericordia ritroviamo noi stessi e gli altri? Gesù non ci chiede semplicemente di lasciar correre e nemmeno fa una campagna per la non violenza: ci propone di vivere in un modo nuovo, sulla scia di quel paradosso che abbiamo ascoltato domenica scorsa con le beatitudini. Egli ci chiama a vivere nel mondo alla maniera di Dio, Padre che ama con un cuore di Madre, un cuore che prima di scorgere l’errore sente una profonda tenerezza per l’altro, come se fosse suo figlio, un cuore capace di ridare sempre fiducia, anche quando sembra scontato un ulteriore fallimento. Si tratta di vivere l’amore, così come lo annuncia con la sua vita il Signore Gesù, ossia senza misura, come se traesse forza ed energia da un pozzo senza fine.
Un certo strabismo ci fa pensare che solo Gesù possa vivere l’amore in maniera smisurata, che solo lui abbia accesso a questo pozzo dalla vena infinita. “Mica sono un santo, mica sono Gesù Cristo” ci giustifichiamo quando ci ritroviamo a rispondere ai torti con altri torti. Abbiamo l’impressione che la misericordia non ci rispetti e sia una debolezza oppure che sia solo una fatica, un’enorme fatica. Rimane tale se la viviamo come uno sforzo nostro: allora sì sembra un muro enorme da superare. Se lasciamo allo Spirito di Dio, tuttavia, di agire, dandoci la sua forza, aiutandoci a guardare i fatti con i suoi occhi, a riconoscere nel volto dell’altro nient’altro che una semplice creatura umana come noi, allora sentiamo nascere la libertà di lasciare andare, di mollare la corazza che ci fa sembrare forti, di lasciar scorrere attraverso i nostri gesti e le nostre parole la bontà di Dio. Non che sia facile: per accedere alla parte più profonda di noi è necessario affrontare i nostri idoli, la nostra pretesa di essere migliori degli altri, l’idea grandiosa di noi stessi, il dolore di certe ferite ricevute dalla vita e avere pazienza. Ma con il Signore anche questo è possibile: insieme a lui possiamo compiere questo cammino e un po’ alla volta diventare nuovi o, meglio, credere all’uomo nuovo che già abita in noi.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea