“Siate santi!” – Settima domenica del tempo ordinario, anno A

“Siate santi!” (Lv 19,2).

Di fronte alla proposta del Vangelo, talvolta avvertiamo un senso di inadeguatezza: abbiamo l’impressione che tratteggi un discepolo impossibile. Chi può farcela a vivere la come Gesù? In altre parole: quante volte ci ritroviamo a pensare o dire, quasi a giustificarci: “Mica sono un santo io!”. In questo modo ci sembra di ritrovare il nostro posto dinanzi al Signore e alla vita, una certa pace dinanzi alle nostre fragilità o punti di vista diversi rispetto al Vangelo.

Questa presa di distanza viene messa in discussione dalla Parola del Signore di questa domenica che è molto precisa e radicale: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2) ci è detto nella prima lettura. Così pure nella seconda: “santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1Cor 3,17). Il Signore sembra volerci far prendere consapevolezza di chi siamo davvero, di quali sono le qualità che portiamo in noi oltre le apparenze, oltre quello che noi comprendiamo di noi stessi, oltre la nostra esperienza. Certo, nel dirci queste parole non ci immagina uomini e donne che non possono sbagliare o peccare, tantomeno con i tratti dei santi raffigurati in certe immaginette o statue immortalati in atteggiamenti o scene che sembrano irreali. Piuttosto ci ricorda che possiamo distinguerci per un modo di essere più simile al suo che a quello che più viene spontaneo, capaci di esprimere gesti e parole secondo il cuore di Dio più che umani, secondo la sapienza di Dio piuttosto che quella del mondo. Siamo persone umane, fragili, ma portiamo dentro la presenza di Dio, siamo tempio abitato da lui e possiamo esprimere questo dono. Siamo di questo mondo, abbiamo imparato a vivere da “Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro” (1Cor 3,23), dai nostri famigliari, parenti, educatori che insieme a doni grandi portano con sé anche dei limiti, ma siamo “di Cristo e Cristo è di Dio” (ibidem) e capaci di vivere la sapienza del Signore.

C’è un’esperienza concreta in cui il Signore ci chiama a esprimere la nostra santità. Nessuno di noi, probabilmente, ha mai ucciso nessuno, ma tutti portiamo nel nostro cuore le ferite di qualche litigio o conflitto, di qualche ingiustizia e della violenza dei gesti o delle parole. Ebbene, proprio a partire da questo vissuto oggi siamo chiamati ad amare. Noi, non gli altri, siamo chiamati ad amare come il Padre, a provare ad amare alla sua maniera che è larga, aperta, generosa e dona anche a chi non sembra meritarsi nulla. Perché non lasciarci provocare da questa parola per riprendere in mano qualche rapporto incrinato? Perché non aprire la porta alla novità, alla possibilità di affrontare in modo diverso quei conflitti che abbiamo lasciato in sospeso, che abbiamo abbandonato per sfiducia nei confronti degli altri o nostra e ripartire dalla fiducia che Dio ha in noi, dalla sua certezza sulla nostra bontà?! Vale per gli adulti, sposi in difficoltà tra di loro, parenti che hanno chiesto agli avvocati di dirimere le loro contese, ma anche per i giovani e i ragazzi. Immersi come siamo in un contesto dove sembra sia il conflitto a rafforzare l’identità, quasi a dire che possiamo esistere se abbiamo qualcuno da controbattere o combattere, noi possiamo, in forza della nostra appartenenza a Cristo, del nostro essere inseriti in lui, della sua grazia che scorre dentro di noi, essere diversi dai “pagani e dai pubblicani” (cf. Mt 5,47-48) e come il “Padre nostro celeste” (ibidem).

Avvicinarsi a chi ci fa del male non è spontaneo: è duro, difficile, doloroso. Ma ancora più impegnativo è avvicinarci alla parte ferita di noi, dove albergano il risentimento, la rabbia, la paura, la colpa, la rigidità del cuore, il peccato. Lasciamoci toccare dallo sguardo, dalla parola, dalla mano del Signore che è capace di riconciliare e farci prendere nuova fiducia verso la vita. Lasciamo che sia la pace che viene da lui a aiutarci ad essere diversi da chi ama l’odio e la violenza. Quando sperimentiamo il conflitto e magari siamo dalla parte di chi ha subito il torto, quello non è il momento per giudicare il fratello e attaccarlo ma l’occasione per amare come Dio, chiedendo a lui che ci suggerisca cosa dire e cosa fare, ci dia la forza di perdonare e di tendere la mano, sciolga il rancore e ci aiuti a far sorgere su tutti il sole della misericordia.

– don Silvano, Casa Sant’Andrea

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