“Non dimenticare che il Signore tuo Dio nel deserto ti ha nutrito di manna per farti felice nel tuo avvenire”. (Dt 8,16)
Molti percorsi, in queste settimane, giungono verso la conclusione: la scuola, i corsi universitari, gli itinerari parrocchiali o diocesani.
Guardando indietro, vediamo tanti passi fatti, tante occasioni che hanno portato del bene. Probabilmente riconosciamo anche dei limiti, nostri e altrui, e percepiamo chiaro che non siamo arrivati dappertutto, che non ce l’abbiamo fatta a fare tutto il bene che potevamo, rimanendo magari un po’ amareggiati.
Come noi, poii, chissà quanti altri vivono questo tipo di delusione.
Un papà di famiglia, figlio di una donna anziana colpita da una grave malattia che la rende incapace di parlare e la tiene bloccata al letto mi diceva in questi giorni: «Mi sembra di fare poco per lei e mi sento in colpa: lei ha bisogno di tutto e, né io né mia moglie possiamo essergli più di tanto vicini; dobbiamo lavorare e il nostro tempo non è molto». Quel bene che lui gli vuole, il suo darsi da fare per lei assieme a sua moglie, gli sembra essere poca cosa rispetto alle esigenze della mamma.
Noi siamo capaci di compiere il bene, di donare, amare, aiutare, servire, sfamare i tanti affamati di bene, di salute, di affetto. Eppure: il pane che condividiamo, che riusciamo a spezzare, è davvero poca cosa rispetto alla fame degli altri. È un pane leggero, un pane che sembra avere poca sostanza, poco peso, poca forza, rispetto alle esigenze degli altri e del mondo.
Assomiglia al pane della manna, cibo che il Signore donava puntualmente al suo popolo in cammino verso la terra promessa, ma cibo anche che faceva brontolare gli ebrei, che a un certo punto erano stanchi di mangiare questo cibo troppo leggero, poco saporito, poco robusto…
Assomiglia al pane dell’Eucaristia, quel pane che noi riceviamo ogni domenica o anche durante la settimana e che, talvolta, ci sembra leggero… Agli occhi nostri la particola è poca cosa… un piccola cialda di pane… che non sembra pane né per la forma, né per il gusto,… e che talvolta sembra essere insufficiente rispetto a tutta la nostra fame di salute, di amore, di salvezza!
Se ci avviciniamo a Gesù e lo guardiamo da vicino, tutto questo riusciamo a coglierlo in un orizzonte più grande e più autentico.
Vediamo il Figlio di Dio, ma un Figlio che ha fatto poco..
Si è fatto uno di noi, ha vissuto solo 33 anni, ha abitato in un luogo ben preciso della terra in una piccola regione; ha camminato per un territorio piccolo, percorrendo alcune centinaia di Km; ha incontrato tanti poveri, ma non tutti i poveri del suo tempo; ha guarito alcuni ammalati, ma non tutti i malati del suo tempo; ha perdonato e salvato alcuni peccatori, ma non tutti…
Scopriamo in lui il volto di un Gesù che non “ha fatto tutto”, almeno finché era uno di noi e tra di noi… un Gesù che ha “semplicemente” posto dei segni, dei segni della sua attenzione per noi, per l’umanità, segni che, almeno secondo il nostro modo di vedere, non hanno toccato tutti, non hanno portato beneficio a tutti.
Quei segni però hanno fato crescere il bene, lo hanno fatto lievitare e lo fanno maturare ancora.
Dentro quei segni, inoltre, cera una promessa, una promessa di salvezza per tutti.
Verrà il giorno in cui Cristo sarà tutto in tutti e allora quanto ha compiuto solo ad aocuni, lo riconsoceremo tutti e tutti ci sentiremo saziati.
Durante l’ultima cena Gesù ha fatto poca cosa: ha preso del pane e del vino, doni semplici, qausi insignificanti.
Prendendo in mano il pane e il vino, però, ha detto sul serio: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo… questo è il calice del mio sangue…».
È un gesto piccolo? È poca cosa? Agli occhi può sembrare così, ma questo dono ha un valore inestimabile…
Quel pezzo di pane che ai nostri occhi sembra talvolta poca cosa, è un dono preziosissimo, è la vita stessa di Dio, pane che dà la vita di Dio, la sua stessa forza, pane che da una domenica all’altra ci dà la forza per camminare, amare, sperare. Quel pane spezzato e quel vino versato, quando li prendiamo, diventano carne della nostra carne, ci arricchiscono, non mi lasciano come prima… Senza quel cibo la nostra vita ha meno senso, meno significato, diventa più difficile, più dura…
Questo cibo, inoltre, è promessa di un altro cibo, un cibo che un giorno ci darà la pienezza della felicità, della salvezza, del bene, quando saremo utti nel Signore.
Il bene che si spende fra noi non è inutile, sebbene sia poca cosa agli occhi del mondo e, talvolta, nostri.
Il bene che doniamo è come la manna nel deserto e come la comunione che noi condividiamo nella messa: è un cibo leggero, ma un cibo senza del quale non possiamo vivere, un cibo che dà la vita, che ci salva e salva altri fratelli.
Riprendono valore, allora, tanti piccoli gesti che viviamo dentro il nostro quotidiano, gesti che sappiamo non risolvere tutta la fame di bene che c’è accanto a noi, ma che spesi con amore saziano quel tanto per andare ancora avanti e promettono un futoro di vita poiena.
E così la vita diventa una messa.
Quell’invito del sacerdote che dice: “Andate in pace: la messa è finita…” ci accorgiamo che può anche essere diverso: “Andate, continuate questa messa nella vita… spezzate ancora il corpo di Cristo, condividete ancora il suo calice di salvezza”.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea