“Ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno” (10,41-42)
La Parola del Signore, in queste domeniche ci sta mostrando in modo molto concreto come sia la vita cristiana. Domenica scorsa, Gesù ci ha raccontato la parabola del buon samaritano e, in questo modo, ci ha indicato la via del farci prossimi agli altri, a tutti, soprattutto a chi è nella difficoltà. Oggi ci porta con sé dentro la casa dei suoi amici, Marta, Maria e Lazzaro e ci indica, fra tutte, la parte migliore: stare con lui.
Potremmo avvertire contradditorie e distanti tra loro queste due pagine di Vangelo, questa Parola di Gesù. Comprendiamo, invece, che la vita cristiana è proprio una costante chiamata a mettere insieme lo stare con il Signore e lo stare con i fratelli, coltivare l’ascolto e la preghiera e anche la carità, l’impegno quotidiano, le responsabilità. Non c’è contraddizione, ma una reciprocità fra queste due esperienze di vita: l’una non può essere senza l’altra. C’è bisogno di azione, di agire concreto, di lavoro, di mani sporche perché una famiglia cammini, una comunità cresca, il mondo diventi più umano. Ma se vogliamo agire da credenti, tutto questo perderebbe di significato se non fosse il frutto dell’ascolto del Signore, della comunione con lui, della preghiera. Non significa che soltanto chi prega sia capace di fare il bene: piuttosto che, se il nostro fare non è frutto di uno stare con il Signore, non è un agire cristiano, nel nome di Cristo, memoria di lui, ma un nostro agire, personale. Vivere da credenti chiede di stare con la parte migliore, che è il Signore, per poi donare agli altri quanto condiviso con lui. Vivere da credente, significa fare proprio uno stile da “contemplat-tivi”, con due “t”, a dire che nell’azione il credente cerca Dio, trova lui, ama lui, costruisce il suo Regno.
Nella Chiesa siamo tutti diversi, portiamo carismi e caratteristiche che fanno di alcuni più predisposti alla tranquillità, al silenzio, alla preghiera e altri più propensi al fare concreto, al darsi da fare per gli altri, al lavoro manuale. La Parola ci chiama a tirare fuori da noi anche quella parte che magari è più nascosta, che valorizziamo meno, così da vivere più in profondità la vita cristiana. Proviamo a girare la prospettiva. Qualcuno fa più fatica a stare fermo davanti al Signore, in preghiera, in silenzio, in ascolto della sua Parola: tutto sembra essere più urgente. Quella persona sarà opportuno si domandi come mai non riesce a stare lì con colui che desidera essere il centro della propria vita e, un po’ alla volta, anche facendosi aiutare da una guida spirituale, scoprire la gioia della gratuità, dell’amore semplice.
Qualcun altro fa più fatica ad impegnarsi nelle cose concrete: magari, nella sua preghiera si ricorda di tutti, del parente che è solo, delle necessità della Parrocchia, delle ingiustizie presenti nel mondo, ma fatica a scegliere degli impegni concreti. Anche per queste persone c’è una chiamata ed è quella di continuare a pregare, ma anche a cercare il volto del Signore nelle persone concrete per cui prega, trovando nell’intimità con Dio, nell’amicizia con lui la forza e la gioia della carità e della fraternità.
Le stesse vocazioni nella Chiesa hanno qualcosa da dirci. Nella Chiesa ci sono i laici, chiamati per primi a stare nel mondo per renderlo casa del Vangelo, ma ci sono anche le monache e i monaci, che nel silenzio del Monastero lavorano, vivono insieme e pregano, intercedendo per l’umanità intera. Ciascuno, però, nella propria vicenda è chiamato ad essere “contemplattivo”, ossia a mettere insieme le due pagine di Vangelo di queste domeniche, perché Dio abita nella preghiera e nell’azione, nel silenzio e nel rumore del lavoro e in ogni momento possiamo incontrarlo e testimoniarlo.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea