“Un tempo in cui rimettermi nelle sue mani” – La riflessione di Matteo Belluco

Santuario della Madonna del Tresto di Ospedaletto Euganeo, martedì 22 maggio 2018

 Cf. Lc 2,22-24

Giuseppe e Maria presentano loro figlio al Signore, perché secondo la legge di Israele ogni maschio primogenito è sacro al Signore e deve essere riscattato, in memoria di quanto Dio aveva fatto per Israele facendolo uscire dall’Egitto.

Ogni vita però è “sacra” al Signore: non indistinta nella moltitudine delle sue creature, ma scelta, voluta e amata. Il salmo 139 dice: non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno. Il Signore conosce ogni suo figlio fin nel più intimo, e per ciascuno ha dall’eternità un sogno, un progetto la cui realizzazione però è lasciata alla libertà. Penso che, rendendosi contro di ciò, non si possa che desiderare di corrispondere a questo amore.

Fin da piccolo mi è stato detto che c’è un Dio che ama gli uomini e che ha dato suo Figlio per salvarli. Nel mio profondo questa consapevolezza c’è sempre stata, e anche quando nell’adolescenza ho incominciato a mettere in discussione ciò che mi era stato insegnato su Dio e la religione, dentro di me non mancava mai il confronto con un “Tu” e questa consolazione non è mai venuta meno. Negli anni delle superiori poi, in alcuni momenti sentivo il bisogno di scrivere in un quaderno ciò che occupava i miei pensieri, per cercare, fissandolo sulla carta, di guardarlo meglio: momenti di difficoltà, gioia, incomprensione… e mi ha molto colpito qualche mese fa, quando l’ho ripreso in mano, notare che ciò che scrivevo alla fine volgeva molto spesso in una inconsapevole preghiera. Ogni volta chiedevo a Dio di indicarmi quale fosse la sua volontà per me, perché pensavo che qualsiasi cosa avrei fatto nella mia vita, questa non gli sarebbe stata estranea. Allora pensavo che sarei diventato un insegnante di lettere e un buon organista, ma anche questo avrebbe avuto a che fare con Lui. Finite le superiori, poi, le domande si sono fatte più impegnative e stringenti: fermarmi e cercare un lavoro, continuare con l’università, o altro… E quando, dopo essermi iscritto all’università e aver cambiato corso dopo un anno e mezzo, ho deciso di iniziare il gruppo vocazionale, per i miei genitori, per gli amici e per chi mi stava intorno è stato un piccolo terremoto.

C’era qualcosa che non tornava rispetto a quello che si aspettavano da me. Non sembrava normale porsi queste domande sulla propria vita, sulle scelte che un giovane si trova a dover compiere. La società spinge in un’altra direzione: un giovane deve costruirsi una certa posizione sociale, conquistarsi un lavoro stabile e ben retribuito… non ha certo tempo da perdere per pensare a Dio e alla propria vocazione, alla chiamata che Lui gli rivolge. Il tempo dedicato al gruppo vocazionale, e ancor più quest’anno di Casa Sant’Andrea, può sembrare tempo sprecato, inutile, improduttivo… Per me invece è un tempo necessario, un tempo in cui rimettermi nelle sue mani, per potermi guardare dentro con verità e lasciarmi guardare da Lui, che, come scriveva Sant’Agostino, è all’interno di me più del mio intimo. È un tempo necessario perché riconosco che la mia felicità non è indipendente da Lui, ma anzi, solo in Lui può trovare pienezza.

Matteo Belluco

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