“Venne Gesù, a porte chiuse” (Gv 20,26)
Diversamente dai nostri desideri celebriamo anche la seconda domenica di Pasqua in casa, senza poterci ritrovare in chiesa con la nostra comunità. Ascoltando il Vangelo (Gv 20,19-31), tuttavia, scopriamo che è possibile anche così sperimentare il dono che il Signore vuole farci. Se domenica scorsa, e in tutti questi giorni, abbiamo celebrato la Risurrezione del Signore, in questa domenica potremmo dire che siamo chiamati a celebrare anche la risurrezione della comunità. Gesù che dopo otto giorni dalla sua Pasqua va a cercare Tommaso lì dove è di casa, viene oggi anche nelle nostre abitazioni, lì dove viviamo in questo tempo di quarantena, per risvegliare tutti noi dal sonno della morte, della paura e dell’incredulità. Sì, vorremmo andare in chiesa e celebrare insieme il Signore e non ci è dato. Gesù stesso, però, viene da noi, a casa nostra, e ci fa vivere l’incontro che apre alla vita nuova. Il Risorto oggi viene in cerca di ciascuno di noi per farci fare esperienza di lui che è vivo e risorto dai morti e aprirci alla vita in un modo nuovo.
Qualcosa di tutto questo lo ritroviamo anche nell’Incredulità di san Tommaso, opera di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, dipinta nel 1600 circa. Nel mezzo della tela si staglia luminoso e bello il corpo di Gesù che risalta sui corpi semplici e sui vestiti logori dei discepoli. È Gesù con la sua persona che fa venire alla luce i tre discepoli, che li toglie dall’oscurità e dall’ombra, che li fa nascere… alla fede. Con una mano sposta il sudario/mantello dalla sua ferita e con l’altra accompagna quella di Tommaso ad entrarvi e sperimentare che è vivo, che lui è il crocifisso risorto. Queste stesse mani ci mostrano le ferite che oggi segnano il suo corpo e accompagnano le nostre dita, i nostri cuori a sperimentare la fede nella sua presenza tra noi, nel nostro oggi. Da parte nostra siamo chiamati ad entrare senza timore col nostro dito nella sua ferita e nelle nostre, a lasciarci sorprendere da quanto sperimentiamo, quasi a “guardare” con le mani e “toccare” con gli occhi la presenza del Signore in tutto questo. E così, disarmati da questo semplice e pulito fatto reale, venire alla luce, risorgere insieme a lui, metterci in piedi, stare dentro alle situazioni con coraggio e pace insieme a Gesù che “venne e stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!” (Gv 20,26). Le fatiche, le incertezze, le fragilità, i limiti e il peccato che sperimentiamo sono le ferite che il Signore ci accompagna a toccare per intravedere la sua presenza che ama, risana e apre alla vita.
Anche noi siamo chiamati a risorgere, ad alzarci in piedi dentro alla realtà in cui siamo immersi. La Pasqua del Signore ci fa conquistare “un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza. È una speranza nuova, viva, che viene da Dio. Non è mero ottimismo, non è una pacca sulle spalle o un incoraggiamento di circostanza, con un sorriso di passaggio. No. È un dono del Cielo, che non potevamo procurarci da soli. Tutto andrà bene, diciamo con tenacia in queste settimane, aggrappandoci alla bellezza della nostra umanità e facendo salire dal cuore parole di incoraggiamento. Ma, con l’andare dei giorni e il crescere dei timori, anche la speranza più audace può evaporare. La speranza di Gesù è diversa. Immette nel cuore la certezza che Dio sa volgere tutto al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita” (Francesco, Omelia alla Veglia pasquale nella notte santa, 2020).
– don Silvano, Casa Sant’Andrea