«Voi mi cercate perché avete mangiato» (Gv 6,26).
So di non dire una particolare novità ma credo sia importante riconoscere come talvolta sfoghiamo nel cibo tanta parte dei nostri svariati desideri. Ce ne siamo accorti particolarmente lo scorso anno, quando nei mesi del lockdown ci siamo dedicati a preparare con particolare calma e cura piatti particolari, pane, pizze e dolci in abbondanza. Non era solo un modo divertente e creativo per passare il tempo ma anche un modo per saziare la nostra fame interiore, il buco allo stomaco frutto dell’ansia per la situazione in cui ci trovavamo, nonché un modo per sfogare parte di quell’aggressività che in genere esprimiamo nel movimento, nelle relazioni, nel lavoro quotidiano. Qualcuno direbbe, più semplicemente, che avevamo una fame nervosa.
Sì, siamo degli affamati, dei bisognosi di cibo per il corpo, dei bisognosi di altro che non sappiamo sempre riconoscere. Siamo affamati di incontro, relazione, espressione di noi stessi, operosità ma non solo. Dentro alla nostra fame abitano dei desideri, delle aspirazioni profonde che non sempre riusciamo a riconoscere e accogliere. Di fronte ad esse talvolta “mormoriamo” (Es 16.2), come gli ebrei nel deserto, accusando la realtà che ci circonda e gli altri del morso che sentiamo allo stomaco piuttosto che riconoscere la nostra insoddisfazione e ciò che la fa sentire insopportabile. Siamo dei bisognosi di un cibo diverso oltre che affamati di pane, dei bisognosi di un “pane dal cielo” (Gv 6,32), di un cibo “vero” (ib.) capace di saziarci nel profondo, radicalmente. E Gesù lo sa bene: conosce il nostro cuore più di noi stessi. Conosce la nostra fame e il cibo di cui abbiamo bisogno: la sua persona e l’orizzonte di eternità che egli apre a chi lo ascolta.
Dinanzi a Cristo, “pane del cielo” (Gv 6,32), si apre per noi la possibilità di ascoltare con pace e fiducia la nostra fame. Egli ci propone di scavare dentro i nostri desideri, di prenderli in mano, come un filo di Arianna, e seguirli fino a riconoscere il desiderio che sta dentro al desiderio più superficiale e, passo passo, arrivare a ciò che ci afferra davvero, fino a scoprire chi siamo, ciò di cui abbiamo davvero bisogno. Ognuno di noi e noi insieme possiamo essere dei desideranti che cercano il nome della propria fame sino a scoprire che il cibo di cui abbiamo davvero bisogno è l’amore e l’amore più autentico che soltanto “Colui che discende dal cielo” (Gv 6,33) può donarci.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea