“Io sono il pane della vita” (Gv 6,48).
Sul giornale di oggi leggo che su ottantuno morti accertati dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane, trentaquattro sono suicidi. Storie di disperazione dove spesso, oltre alla depressione e alla rabbia per una condizione disumana, c’entra anche la droga. Gli ultimi cinque suicidi sono stati registrati solo nel mese di agosto, sette a luglio. Se andiamo al nord dell’Europa, poi, la situazione peggiora ulteriormente.
Mi chiedo se sia proprio questo ciò che che queste persone volevano, se sia la morte il loro vero desiderio o se dietro alla loro scelta non ci sia il bisogno di vita, di vita piena, in libertà. Il nostro cuore, fatto ad immagine di quello di Cristo, non può volere la morte, ma soltanto la vita: Dio vuole che viviamo. Come ad Elia ci dice ad ogni fuga dal cammino: “Alzati e mangia” (1Re 19,7) e poi ci chiede di riprendere la strada. Forse non viene sufficientemente saziato, forse non viene compreso questo bisogno di vita. Non serve guardare a fatti eccezionali come i suicidi per accorgersene: quanti altri suicidi silenziosi si consumano nelle nostre case e comunità, ossia rinunce a vivere pienamente, a rischiare e osare pur di trovare senso, preferendo una vita al minimo e magari triste.
“Io sono il pane della vita” dice Gesù. Egli ha la pretesa di essere il cibo giusto per chi desidera vivere davvero. Cibo, ossia qualcosa di concreto e sostanzioso che vuole entrare in noi e diventare carne della nostra carne. Cibo che ci invoglia ad ascoltare la nostra fame, a non trascinarla in modo sordo, a riconoscerla e manifestarla a lui per lasciarci nutrire della sua persona, della sua parola. Non serve a niente coltivare mormorazioni più o meno silenziose, pensieri infelici, dubbi sulla vita, ma piuttosto riconoscere la fame, dare un nome a ciò che desideriamo, rivolgerci a Cristo con fede per giungere insieme a lui al Padre che amando dona la vita. Non serve a nulla accarezzare in sotterranea “asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità” (Ef 4,31) servono piuttosto la benevolenza e la misericordia (ci. Ef 4,32), anche con sé, per imparare l’arte di vivere e cercare la vita da chi ce la può donare.
Quale il primo passo da compiere per accedere alla vita? Lasciare ogni dubbio su Gesù, ogni pregiudizio, e aprirsi alla fede genuina in lui: smetterla di pensare come i suoi contemporanei che vedevano in lui solo il figlio di Giuseppe (ci. Gv 6,42) e aprirci all’orizzonte della fede, lasciare da parte discorsi qualunquisti che ci fanno pensare a Gesù come “un grande” del passato e riconoscere che lui è il Risorto, presente oggi nei Sacramenti, nella Chiesa, nel mondo. Hanno fame di vita i carcerati, ma non soltanto loro: ogni persona la desidera, anche i giovani radunati a Roma per l’esperienza #permillestrade e #siamoqui, e noi sappiamo che abbiamo bisogno di Cristo per sfamarci e riprendere il cammino.
– don Silvano, Casa Sant’Andrea